Giovanni Spampinato. L'Ora, 28-29 aprile 1969

Ragusa: nasce il “Piccolissimo”

Un teatro di rottura

RAGUSA, 28 apr – “Un teatro-verità, scriva verità, una lucida esperienza della condizione umana”, insiste Alongi nel presentare il “Piccolissimo”, di cui egli è l’appassionato regista .

“Noi rifiutiamo il teatro finzione. Cos’altro c’è nel teatro tradizionale? Finzione : il testo, la parola, la scenografia, i gesti. Ma la finzione può colpire soltanto la sfera emotiva dello spettatore. Noi non vogliamo e non dobbiamo fermarci alla sfera emotiva. Dobbiamo colpire l ‘intelligenza, la coscienza. Vogliamo fare un teatro umano, che affronti i problemi più scottanti di oggi: la solitudine, la violenza, l’alienazione … I testi? Per noi sono solo dei canovacci. Vede, stiamo provando “La giara”. Reciteremo qui, e tutto sarà esattamente come lo vede lei adesso”.

Ci troviamo in un salone dell’ISES di Ragusa. Niente palcoscenico, niente scenografia. Tutte le sovrastrutture teatrali sono state eliminate.

Ho trovato il regista e giovani attori impegnati in una appassionata discussione. Alongi si rivolge a me, ma mi accorgo che sta continuando il discorso che stava facendo con gli attori che annuiscono e intervengono. Sono un gruppo di studenti dell’Istituto Tecnico, che da qualche mese hanno iniziato questo esperimento rivoluzionario.

“Non è un teatro di istituto, badi bene !” precisa Alongi. “L’Istituto ha una filodrammatica; questo è un teatro assolutamente autonomo”.

“Il testo de “La giara” è per noi solo un pretesto, un canovaccio. Noi vogliamo mettere in luce certi motivi esistenziali, la solitudine dell’uomo, l’ambiguità dell’uomo, il mistero dell’uomo, l’alienazione dell’uomo, ma anche la bellezza dell’uomo. Ecco, guardi come noi interpretiamo la prima scena”. 

Due giovani si alzano, vanno verso la “scena”, che è in fondo al salone. Ci sono solo tre sedie, una è la giara, le altre due “cose” su cui si lavora. I due giovani attori si chinano dinanzi a queste sedie, poggiano un ginocchio a terra, e cominciano a battere sulla tavola con la mano nuda, lentamente, prima l’uno e poi l’altro, più volte.

L’effetto è sorprendente, il significato lampante: il lavoro sempre uguale che istupidisce l’uomo, che lo aliena da se stesso e dal mondo; il lavoro biblico, il lavoro-condanna.

Alongi conclude: “Questo teatro è fondato su un atto di fede, di speranza e di amore: di fede nell’uomo, di speranza nell’uomo e di amore per l’uomo”.

Il “Piccolissimo” inizierà le sue rappresentazioni nella prima decade di maggio.

TOM