Giovanni Spampinato L'Ora, 5-6 giugno, 1969

Serre. Per i piccoli coltivatori di Ragusa è una disperata schiavitù

RAGUSA – E’ di questi giorni la notizia della bocciatura, da parte del Governo regionale e della maggioranza di centro-sinistra, dell’emendamento presentato dagli onorevoli Cagnes e Messina, nel corso della discussione sul bilancio, per portare gli stanziamenti per le serre del Ragusano da uno a due miliardi.  Anche il concittadino on. Vincenzo Giummarra, assessore all’Agricoltura, ha votato contro l’emendamento.

Il discorso sugli stanziamenti per le serre meriterebbe di essere approfondito. Gli aumenti notevoli dei costi di produzione, la disastrosa situazione delle infrastrutture (mancano elettricità ed acqua), la mancata creazione in loco di industrie di trasformazione e conservazione hanno reso la situazione sempre più difficile.

Inoltre, bisogna tener conto del fatto che, mentre i coltivatori diretti, ed ancor meglio i grandi proprietari, fruiscono dei contributi previsti, la situazione è del tutto diversa per compartecipanti e mezzadri, che non beneficiano minimamente di tali provvidenze.

La coltura in serre interessa praticamente l’intera fascia costiera della provincia, con più di 4.000 ettari coperti. Si cominciò alcuni anni fa nel Vittoriese, con la coltivazione del pomidoro. Ma si giunse presto alla saturazione dei mercati, col conseguente crollo dei prezzi. La gravissima crisi fu in qualche modo risolta ricorrendo alla differenzazione delle colture, che adesso abbracciano tutta la gamma dei primaticci. Da un paio d’anni, si conducono interessanti esperimenti per la coltivazione dei fiori.

Problemi gravi si sono incontrati e si continuano ad incontrare: tra i più notevoli, quello dei trasporti. All’infelicissimo stato dei collegamenti nella provincia, si è venuto ad aggiungere, negli ultimi tempi, l’intasamento dei carri ferroviari a Messina, con conseguenti ritardi che pregiudicano spesso irrimediabilmente la conservazione dei prodotti.

I produttori di fiori sono costretti a farli trasportare fino all’aeroporto di Catania con autocarri, dato che il vicino aeroporto di Comiso non è attualmente utilizzabile per tale genere di voli, date le sue precarie condizioni di agibilità.

Il problema dei costi umani

C’è poi, più grave e meno conosciuto, il problema dei costi umani. Le serre del Ragusano sono tra le più economiche che si possono immaginare, frutto dell’ingegnosità e della miseria dei primi coltivatori diretti che cercarono, nell’”oro verde”, una insperata e facile ricchezza. Le strutture sono generalmente in legno, piuttosto basse, la copertura in laminato plastico. Ogni anno, bisogna rinnovare tutto; ma nonostante ciò, si risparmia moltissimo rispetto alle più razionali strutture in ferro e alla copertura in vetro.

Gli inconvenienti sono di vario genere, soprattutto per le serre che sorgono ad una distanza seppur minima dal mare, le gelate sono talvolta fatali. Né valgono in quei casi a salvare i primaticci le stufe a gas o a cherosene, che costituiscono le normali fonti di riscaldamento delle serre (le campagne, come abbiamo già accennato, generalmente non sono elettrificate).

Per chi vi lavora, quel tipo di serra é quanto di peggio si possa immaginare. In primavera, la temperatura sale a valori altissimi, il grado di umidità é insopportabile.

I coltivatori diretti non sono certo in grado di affrontare le notevolissime spese che comporterebbe la trasformazione; i grossi proprietari, dal canto loro, non hanno alcuna intenzione di investire a tale scopo i loro alti guadagni, dato che a lavorare in quelle fornaci non ci vanno loro.

Per i compartecipanti, la situazione è ulteriormente aggravata dal fatto che non esiste un contratto provinciale di compartecipazione. Alcuni di essi ci hanno dichiarato che sono praticamente costretti, in mancanza di detto contratto, a legarsi a dei proprietari con vincoli che sono molto vicini alla servitù della gleba. Si lavora 365 giorni all’anno, ci si fa aiutare della moglie, che effettua nel corso dell’anno 100-150 giornate lavorative. Un compartecipante può coltivare circa 5.000 mq. di serra, spese e guadagni si dividono a metà col proprietario, cosicché al compartecipante resta in media non più di un milione l’anno.

Considerando che, complessivamente, si sono effettuate circa 500 giornate lavorative di 12-16 ore l’una, si conclude che una giornata lavorativa rende circa 2.000 lire, e un’ora di lavoro dalle 130 alle 160 lire.

Al compartecipante è praticamente impossibile sottrarsi a questo tipo di contratto. Se volesse affittare una serra non avrebbe quel foglio di ingaggio che gli assicura assegni, pensione, cassa malattie. La situazione è drammatica. I lavoratori da noi intervistati, sotto l’apparente rassegnazione di chi ha sempre vissuto un’esistenza poco più che bestiale, mal celavano una sorda rabbia, che si manifestava più aperta e dolente quando parlavano dei loro figli che, dicevano, non dovranno fare questa vita.

Una rabbia che, come ci hanno essi stessi tranquillamente dichiarato, può scoppiare da un momento all’altro, violenta e incontenibile.

Giovanni Spampinato; L’Ora, 5-6 giugno, 1969

CAT