Giovanni Spampinato L'Ora, 4-5 settembre 1969

Cacciato in nome di dio e della “gente per bene”

Per il Vescovo é senza appello l’esilio di Padre Francesco parroco dei poveri

RAGUSA – Il “caso” Padre Francesco é definitivamente chiuso, almeno nella sua breve fase ragusana. Continua invece il calvario di un uomo che ha avuto il torto di credere possibile la sperimentazione nella nostra città di una Chiesa diversa, “democratica”, in cui ai fedeli sia lecita una più diretta partecipazione ai riti, in quanto popolo di Dio; in una Chiesa-comunità, animata da un genuino spirito francescano di povertà.

Le sue idee innovatrici il frate le palesò fin dal suo arrivo, e l’attenta e favorevole accoglienza che incontrarono fra larghi gruppi di cattolici, per il sapore di novità, ma sopratutto per il bisogno di un cambiamento della Chiesa secondo lo spirito del Concilio “Vaticano II”, avvertito da larga parte della cristianità locale, dispiacque subito a mons. Pennisi e a quanti, laici o preti, sono interessati al perdurare della “pace” nella città di Ragusa e giudicano sovversivo chiunque metta in discussione lo status quo.

Il vescovo di Ragusa, è risaputo, non si lascia sfuggire occasione per ripetere che la nostra provincia è una sorta di paradiso terrestre, in cui non esistono problemi di alcun genere e non c’è motivo di lamentarsi di nulla.

Ed ecco che uno strano prete -che va in giro con una tonaca logora e rammendata, accompagnato da uno stuolo di bambini (“mocciosi”, li definisce sprezzantemente la gente-bene) dando fastidio al prossimo col ricordare il vangelo ed altre quisquilie del genere, contesta dal pulpito il quadro idilliaco – panglossiano di mons. Pennisi, e grida che a Ragusa i poveri ci sono, che esiste una obiettiva situazione di oppressione, che tra gli oppressori, in prima fila, sono i preti, e che l’oppressione è tanto più grave, in quanto non riesce a tradursi in una effettiva presa di coscienza dei problemi.

Allora si grida allo scandalo, si teme che la parrocchia dell’Angelo Custode diventi un nuovo Isolotto. Vari monsignori e parroci, efficacemente coadiuvati da influenti uomini politici, iniziano sotterranee manovre “diplomatiche” presso la Curia. Comincia così un capillare processo di diffamazione, di linciaggio morale contro un uomo che se ha un torto, è quello di credere troppo nelle proprie idee.

Intanto padre Francesco, a pochi mesi di distanza dal suo arrivo a Ragusa (si viene presto a sapere che, a causa delle sue idee, ha dovuto cambiare diverse volte sede, e che è stato mandato a Ragusa perché si pensava che in una città così tranquilla non avrebbe potuto dare fastidio, ha raccolto intorno a sé un discreto numero di cattolici e non cattolici, in massima parte giovani, e ha trasformato la parrocchia dell’Angelo in un centro di incontri, di dibattiti, di iniziative culturali. I temi sono vari, ma vertono soprattutto sulla pastorale e sull’apprensione. Molti si impegnano nel doposcuola gratuito ai bambini poveri della parrocchia.

E’ una scintilla che fa sperare nell’inizio di una autentica rivoluzione culturale che rompa una volta per tutte l’opaca quiete provinciale ragusana. Un circuito che, una volta avviato, sarà difficile interrompere.

Ma la “pericolosità” del fenomeno non sfugge ai circoli interessati al perdurare del silenzio. Fra gli organi di stampa, è solo il nostro giornale a dare notizia dell’attività del gruppo. Le voci interessate, messe in giro attraverso gli efficientissimi circuiti parrocchiali, dipingendo un quadro fosco del frate, presentano come un eretico, un visionario, perfino un ladro. Il vescovo infine dichiara che Padre Francesco ha bisogno di un lungo periodo di riposo, e di un buon psichiatra.

La situazione arriva presto ad un punto assai critico. A conclusione di una lunga serie di conversazioni sul tema “Autorità e sudditi”, viene invitato a tenere una conferenza padre Balducci. Ma il direttore di “Testimonianze” é giudicato una “testa calda” negli ambienti della Curia ragusana, e il Vescovo fa sapere che non intende dare il necessario permesso.

Lo spunto per motivare l’allontanamento del sacerdote viene trovato in un episodio più clamoroso dei precedenti. Padre Francesco, in occasione dell’inaugurazione del monumento di piazza del Popolo, prende una decisa posizione contro l’iniziativa, chiedendo al Vescovo di non celebrare la Messa al campo, dissociandosi in tal modo da una iniziativa dalle non chiare, ma sicuramente non accettabili implicazioni politiche. Il fermo di un giovane che distribuisce volantini di protesta, alla vigilia della manifestazione, provoca un suo violento scontro con un alto funzionario di polizia.

La protesta del prete diviene pubblica l’indomani, durante la cerimonia. E’ troppo. Le numerosissime autorità presenti, offese e derise, chiedono al loro vescovo immediate vendetta. E a distanza di 48 ore giunge a padre Francesco l’ordine di andarsene, abbandonando una città in cui voleva continuare la sua opera, abbandonando in lacrime i bambini della parrocchia raccolti uno per uno dalla strada, e che ora ritorneranno al loro “ambiente naturale”.

La “pace” ritorna a Ragusa, liberata appena in tempo da una presenza scomoda e imbarazzante.

Da allora, sono passati tre mesi. La speranza di un possibile ritorno del Vescovo sulle sue decisioni ha consigliato di non dare pubblicità ai fatti. Mons. Pennisi ha continuato a promettere a quanti lo invitavano a non irrigidirsi sulle sue posizioni. Solo ora si é saputo, senza possibilità di dubbio, che la decisione era fin dall’inizio definitiva.

L’intera vicenda di padre Francesco, che abbiamo seguito fin dall’inizio, con simpatia e rispetto umani, ci ha dato la misura della brutalità di un sistema autoritario anacronistico, assurdo, in contrasto con lo stesso Concilio. Ad un uomo è stato impedito di dire ciò che pensava, lo si è calunniato e scacciato. E tutto ciò nel nome di Dio.

Giovanni Spampinato; L’Ora, 4-5 settembre 1969

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