Giovanni Spampinato. L'opposizione di sinistra, A. II, n. 19, 26-12-1970

Gli studenti solidali con gli operai nella lotta per lo sviluppo!

RAGUSA – La partecipazione degli studenti ragusani allo sciopero del 10 dicembre costituisce un fatto politico di grande importanza per il movimento della nostra sinistra di classe, un avvenimento nuovo che merita alcune considerazioni, perché meglio se ne possano valutare la portata e gli inevitabili limiti.

Per la prima volta, il 10 dicembre gli studenti medi di Ragusa sono scesi in sciopero con gli operai, con i lavoratori, per obiettivi comuni, obiettivi politici altamente qualificanti. Le parole d’ordine dei cartelli degli studenti, ripetute a gran voce, chiedevano soprattutto una nuova politica per il Mezzogiorno, lo sviluppo economico e civile del Meridione, la fine del rapporto di sudditanza neocoloniale dai grandi monopoli del Nord.

Non una lotta settoriale o strettamente sindacale quindi. Ciò è tanto più importante se si considera che, fino a tempi recentissimi, gli studenti iblei scioperavano per i banchi, per le stufe, per i gabinetti che non funzionavano o, peggio, si lasciavano trascinare in manifestazioni di aberrante nazionalismo da sparuti gruppetti di giovani neofascisti.

La serietà della partecipazione ha impedito, per la prima volta, i soliti ironici (spesso a ragione) commenti: i cittadini hanno capito che questa volta gli studenti non scioperavano “per far vacanza”, ma perché credevano in ciò che facevano, in ciò che gridavano.

E questa volta neanche la grossolana provocatoria fascista ha funzionato: gli studenti dell’ Istituto Tecnico Industriale hanno capito da sé la matrice delle scritte inneggianti al PCI e alla raggiunta strumentalizzazione degli studenti, tracciate nottetempo con vernice rossa da ” ignote” mani sui muri della scuola.

Parlavamo all’inizio dei limiti. Esistono, e non vanno sottovalutati. Intanto, riguardano l’estensione del movimento. Mentre all’ITI esso abbraccia la quasi totalità degli studenti, in altri istituti interessa minoranze più o meno consistenti, mentre al liceo classico e al magistrale è pressoché inesistente.

E ciò è facilmente comprensibile, solo che si tenti una analisi classista della provenienza dei vari studenti: i licei, ancora oggi, sono le scuole frequentate dai figli della borghesia, le scuole in cui, e con cui, si tenta di perpetuare il privilegio di una cultura “superiore” per la classe dominante. Non a caso nei licei, specialmente al classico, si annidano quei gruppetti di fascistelli che però, non bisogna dimenticarlo, proprio in occasione dell’assemblea tenuta per decidere sulla partecipazione dell’istituto allo sciopero, si sono trovati, per la prima volta, totalmente isolati.

L’assemblea del Classico ha deciso per lo sciopero, e i fascisti, ormai alla coda e non, come le altre volte, alla testa del movimento, si sono dovuti accontentare della magra consolazione di far dirottare all’ultimo momento il corteo, con la speciosa scusa che s’era vista una bandiera rossa (la bandiera del sindacato). Così solo una minoranza degli studenti del classico partecipava al corteo, mentre i più facevano una manifestazione “per conto loro”.

Diverso il caso del magistrale: la totale assenza delle magistraline ad una manifestazione di civile protesta che pure le interessava così da vicino (le maestre diplomate restano regolarmente disoccupate) è da imputare soprattutto al comportamento autoritario ed antidemocratico del preside di quell’istituto.

Sono stati gli studenti dell’ITI, del Geometra, del Ragioneria a manifestare con gli operai. E uno studente ha magnificamente sintetizzato il significato di quella partecipazione, quando l’indignazione fascista per la bandiera rossa stava provocando un certo sbandamento: “Studenti, gli operai che scioperano sono i vostri padri!”. E’ stato un grande applauso a salutare la raggiunta unità fra i lavoratori e gli studenti, un applauso degli studenti e dei lavoratori uniti nella lotta.

Gli studenti figli degli operai hanno scoperto, soffrendola essi stessi, come la condizione di sfruttamento dei loro genitori sul posto di lavoro si perpetua nella scuola, come essi sono vittime dello stesso meccanismo, come l’emigrazione non riguarda solo l’operaio, il contadino, il bracciante, ma anche il diplomato. Gli studenti hanno scoperto che comuni sono i problemi, e comune deve essere la lotta.

La maturità politica raggiunta risultava chiara dalle parole d’ordine: non si chiedeva il quinto centro siderurgico, ma una nuova politica, lo sviluppo economico, sociale e civile del Mezzogiorno, problema nazionale.

La questione meridionale è stata la grande scoperta di quest’anno, per gli studenti. Per studiare la questione meridionale si sono costituiti gruppi di studio in quasi tutti gli istituti, ci si è mobilitati, si pensa a tutta una serie di iniziative di attività. Ma è importante in particolare l’esperienza del 10 dicembre, perché ha fugato molti dei timori, molte delle perplessità che esistevano sul movimento dei lavoratori, sulle sue specifiche forme di lotta, sullo sciopero, perché ha fatto uscire gli studenti dal ghetto.

La ripresa del movimento degli studenti medi a Ragusa avviene men tre tutta la scuola italiana è in lotta: 500 istituti su 1500 sono stati occupati, in tutte le regioni, nel nord e nel sud. La risposta del governo è stata la repressione da un lato (la polizia ha caricato, picchiato, fermato gli studenti, è entrata perfino nelle scuole), e la demagogia dall’altro: piccole riforme, circolari, contentini.

Così la scuola è diventata una specie di Arlecchino, pieno di toppe. In attesa della famosa riforma, escono mini-riforme a getto continuo, si accresce la confusione, la scuola diventa sempre più dequalificata e dequalificante.

La riforma della scuola è indilazionabile, ed è pari, per importanza, a quella della casa, della sanità. Non interessa solo gli studenti o gli insegnanti, interessa tutta la società, interessa soprattutto i lavoratori. La lotta per lo sviluppo del Mezzogiorno è la lotta per una società diversa, con una scuola diversa. E gli studenti ne saranno i protagonisti, al fianco degli operai, dei lavoratori.

m.