Giovanni Spampinato. L'Opposizione di Sinistra, A. III, n. 4, 13 marzo 1971

Disoccupazione intellettuale. Ventimila diplomati di troppo

RAGUSA – Secondo i calcoli di Nicola Cacace e Mario D’Ambrisio, dell’ISRIL, pubblicati nel 1968 dalla rivista “Futuribili”, e sostanzialmente ripresi un anno dopo dal Centro K. Marx di Pisa (in “Sviluppo capitalistico e forza lavoro intellettuale” ), nel 1980 si dovrebbe avere in Italia una eccedenza di laureati di circa 177 mila unità.

Ora le previsioni vengono sostanzialmente, e motivatamente, rettificate da Marzio Barbagli (”Scuola e occupazione intellettuale” in “Il Manifesto” n.12, 1970): data l’esplosione verificatasi negli ultimissimi anni nel numero di iscritti all’università e il crescere rapidissimo, al di là delle previsioni che si potevano fare anche solo due anni fa, della massa dei laureati, è prudente ritenere che, nel 1980, l’eccedenza sarà di 370-400 mila unità.

Questa grande massa di proletariato intellettuale non resterà probabilmente del tutto disoccupata, ma potrà essere impiegata in ruoli inferiori alla preparazione ricevuta e alle loro aspettative. Né la scuola potrà, come per il passato, garantire l’assorbimento di tutti questi laureati eccedenti, convertendoli in insegnanti: il settore è saturo, il rapporto insegnanti-allievi elevatissimo, il più alto d’Europa (non è quindi pensabile né auspicabile una riduzione del già ridottissimo orario di lavoro, 14-18 ore settimanali, né un ridimensionamento delle classi, che si risolverebbe tra l’altro in un a più facile manipolazione delle coscienze degli allievi e in una più accentuata divisione all’interno delle masse studentesche, mortificandone la potenzialità di lotta).

Insomma la drammatica situazione esistente in atto tende a diventare sempre più grave, ed è lecito prevedere, stando all’esperienza storica (Barbagli parla di molti paesi, in particolare del Giappone; meraviglia n on trovare una trattazione più esauriente sulle esperienze italiane), che l’insofferenza degli intellettuali porterà da una parte alla radicalizzazione degli stessi (lotte studentesche, ecc. ), dall’altra al corporativismo esclusivista, alla difesa del proprio ruolo, del privilegio acquisito dai fortunati che hanno un lavoro, (chiusura dell’iscrizione agli albi, vedi recente caso dei geometri). Può portare, aggiungiamo noi, in particolari situazioni strutturali, gli intellettuali a farsi alleati e strumento d ella reazione'(vedi il fascismo in Italia).

Si tratta di fenomeni interessanti anche perché investono grandi masse di proletariato intellettuale. Se molti sono i laureati a spasso (e nel prossimo decennio, ripetiamo, la situazione assumerà aspetti ben più drammatici degli attuali), in numero assai maggiore son o i diplomati che trovano difficoltà, molto spesso insormontabili, nell’inserirsi nel mondo del lavoro. L’iscrizione all’università non è certo la soluzione: è solo un rinvio del problema.

Secondo il Piano 80, un documento ufficiale di parte governativa, nel 1980 i diplomati dovrebbero rappresentare il 62 per cento delle persone appartenenti alle corrispondenti classi di età (nel 1967-68 rappresentavano il 37 per cento). Ciò vuol dire che quasi due giovani su tre saranno diplomati, e si può agevolmente immaginare quanto sarà difficile, per questa massa di super-specializzati, trovare un’occupazione adeguata alla loro preparazione.

Il Mezzogiorno, inutile rilevarlo, è particolarmente interessato al problema della disoccupazione intellettuale. Nelle condizioni di depressione economica e sociale in cui versa il Sud, risaltano con maggiore drammatica evidenza le insanabili contraddizioni generate dal sistema, la scuola costituisce l’alternativa alla disoccupazione, ma il problema è solo spostato nel tempo, non risolto. Conseguito il diploma, ci si ritrova di nuovo disoccupati, e ci si iscrive all’università.

Ma sono in molti a tentare questa strada, troppi, e ci si ritrova ancora disoccupati dopo la laurea. La condizione del diplomato e del laureato, che fino a qualche tempo fa era di privilegio, diventa assimilabile a quella dell’operaio, la, forza lavoro intellettuale ha assunto le stesse caratteristiche e ha gli stessi problemi della forza lavoro manuale.

Il Meridione ha sempre esportato intellettuali, fin dall’unità nazionale. Mancavano ieri, come mancano oggi, industrie, attività economiche in genere che potessero dare lavoro ai figli della piccola borghesia meridionale. Il problema fu risolto (se così si può dire) riservando ad essi quei posti della burocrazia e dell’insegnamento disdegnati dalla piccola borghesia settentrionale, a cui si offrivano maggiori possibilità di elevazione sociale ed economica nei commerci e nelle attività industriali, presenti al nord. Oggi tale ruolo si è parzialmente modificato: il mezzogiorno fornisce non solo personale all’amministrazione e all’insegnamento, ma anche tecnici (laureati e diplomati) all’industria, permettendo al capitale, tra l’altro, di calmierare il mercato del lavoro in questo particolare settore.

Già oggi però l’offerta è assolutamente sproporzionata alle possibilità di assorbimento del mercato del lavoro, che è saturo. Diventerà sempre più difficile a1 diplomato e al laureato meridionale trovare una soddisfacente occupazione non solo nel sud, ma in tutto il Paese.

La provincia di Ragusa non fa eccezione al riguardo. La scolarizzazione è un fenomeno che va sempre più allargandosi, sia nel numero delle persone interessate che nell’estensione nel tempo degli studi. Nel 1968-69 erano 7390 gli iscritti alle scuole medie superiori della provincia, dieci anni prima 3.480 (si è cioè avuto un incremento dell’11,8 per cento in 10 anni). I diplomati relativi all’anno scolastico 1960-61 furono 694; per il65-66, 822; e infine, per il 1969-70 si arriva a 1.175. L’incremento nel decennio è del 69,3 per cento (in media, del 6,9 annuo); nell’ultimo quinquennio, del 42,94 per cento (in media dell’8,59 annuo); come si vede, il fenomeno si fa sempre più accentuato, ne sembra lecito supporre che tenderà per il futuro a diminuire, stando alle tendenze che si registrano in campo nazionale e all’incremento costante nel numero degli iscritti alle scuole medie superiori.

Si può calcolare, tenendosi prudentemente su un incremento costante dell’8,5 per cento annuo nei prossimi dieci anni, che dal 1971 al 1980 saranno “prodotti” dalle scuole della provincia 18.974 diplomati circa.

Che, sommati ai 9.411 censiti nel1961 e ai 7.351 diplomati relativi al periodo ’71-’70 danno un totale di circa 36.000 diplomati (e laureati, in parte avendo molti proseguito gli studi). Considerando che nel frattempo 4-5 mila lavoratori intellettuali lasceranno l’attività per pensionamento od altro (calcolo molto abbondante; in genere infatti si tratta di giovani, come si può facilmente rilevare dalle cifre prodotte), resteranno pur sempre 31-32 mila diplomati e laureati a cui assicurare un’adeguata occupazione. (Beninteso, qui si parla nell’ipotesi che di questi nessuno sia nel frattempo emigrato).

In conclusione, fra dieci anni si dovrebbe disporre, in provincia di Ragusa, di almeno 20.000 nuovi posti di lavoro per laureati e diplomati.

Ciò non è naturalmente ipotizzabile (salvo, ovviamente, fenomeni eccezionali su cui non si può fare umanamente affidamento), e questi 20.000 disoccupati dovranno cercare lavoro fuori, al nord.

Ma, riprendendo il discorso iniziale, ciò sarà difficile, in quanto ci sarà una massa immensa di lavoratori intellettuali disoccupati o sottoccupati. Né l’apertura delle frontiere ai diplomati e ai laureati modificherà sostanzialmente la situazione, soprattutto per certi tipi di specializzati.

Giovanni Spampinato