Giovanni Spampinato. Saggio inedito. 1971

La situazione demografica e sociale nella provincia di Ragusa

Premessa

L`analisi della situazione economico sociale dell’ambiente in cui si vive sembra, in un primo momento, estremamente facile, addirittura superflua. Ma, come è vero chela coscienza che si ha del proprio stato personale è in genere fallace, falsata com’è da condizionamenti interni ed esterni di ogni tipo è altrettanto vero che egualmente falsa risulta, nella maggior parte dei casi, la coscienza della realtà economico-sociale in cui si vive.

Così, per limitarci alla nostra provincia notiamo come troppo spesso si sentono fare delle affermazioni, da parte di gente che ne ha diretta esperienza per il fatto di esservi nata e di viverci, che lasciano sorpresi per la scarsa rispondenza alla realtà che esse presentano. Così, è quasi un luogo comune che la provincia di Ragusa costituisce una specie di felice quanto inspiegabile oasi nel Mezzogiorno: a Ragusa, si sente dire, si sta bene, o almeno non c’è gente che sta male.

A confronto di questa tesi c’è anche chi, dandosi l’opportunità, presenta cifre, statistiche, che, per la loro parzialità, inducono facilmente in errore. Le statistiche, si sa, se non sono usate con criteri scientifici, possono portare ad abbagli paurosi. Bisogna tenere presente che, ai fini di un discorso politico-sociale, bisogna prestare particolare attenzione ai dati sull’occupazione, sull’emigrazione, ai rapporti di produzione presenti. In ultima analisi, una zona, una regione potrebbe produrre più di un’altra, senza che perciò la situazione sociale risultasse migliore. Dipende dal modo in cui viene prodotta e distribuita la ricchezza, il grado di evoluzione sociale e civile di una zona o di un paese.

Le note che seguono nascono dalla considerazione che manca, in provincia di Ragusa, un’analisi organica ed aggiornata della situazione demografica e sociale. Non possono certo bastare le scarse ed arretrate pubblicazioni ufficiali della Camera di Commercio, i cui dati oltre ad arrivare al massimo fino al 1963 sono utilizzati per dimostrare le tesi con le quali non si può concordare. Come quando si afferma: “Il fenomeno migratorio in provincia di Ragusa non ha assunto…, fino a questo momento, quella vastità di proporzioni che ha avuto invece in altre provincie. Vero si è che in provincia, specialmente in questi ultimi anni, si è assistito ad un continuo esodo delle popolazioni verso i maggiori centri della provincia e allo spostamento di notevoli aliquote di mano d’opera giovanile verso l’estero, in principal modo verso la Germania, e nei centri industriali del Nord Italia (soprattutto in Lombardia e Piemonte). Tuttavia il fenomeno della migrazione bracciantile non ha raggiunto valori tali da superare lo stesso incremento naturale della popolazione”. (Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Ragusa, Lineamenti economici della provincia di Ragusa, Giuffrè, 1964). Ciò veniva affermato mentre 5 comuni su 12 registravano un decremento assoluto di popolazione, e la provincia veniva interessata ad un movimento migratorio che in certe zone comuni montani in articolare coinvolgeva un quarto della popolazione!

Ma naturalmente non si può pretendere di più da una pubblicazione ufficiale. Le forze politiche e sindacali, da parte loro, hanno prodotto, di tanto in tanto, delle analisi parziali e intese in vista di una utilizzazione immediata. Solo negli ultimi tempi si è registrata la necessità, per la sinistra, di un lavoro organico, di una analisi la più completa ed articolata che sia possibile.

Le note che seguono nascono dalla considerazione di tale carenza e di tale necessità, dell’urgenza di uno strumento di lavoro e insieme di uno stimolo a nuove ricerche e nuovi impegni di lotta.

Niente di definitivo, dunque, ma un invito alla ricerca.

Appunti sui movimenti demografici e sociali verificatisi a Ragusa dal 1951 ad oggi.

Dal dopoguerra in poi, la provincia di Ragusa è stata interessata, come tutto il Mezzogiorno, a fenomeni socio-economici di ampia portata, direttamente dipendenti dalle grandi scelte di politica economica fatte dal capitale italiano in quegli anni: accelerata industrializzazione del nord e politica liberistica, che per il sud hanno significato crisi dell’agricoltura e conseguente emigrazione di massa (fenomeno funzionale allo sviluppo industriale del nord). Tali fenomeni hanno avuto importanti e drammatiche ripercussioni sul piano demografico.

Le cifre delle statistiche ufficiali relative alla popolazione e all’occupazione testimoniano a sufficienza il grave dissesto economico e sociale provocato da tali processi in provincia di Ragusa.

Ma ad una lettura complessiva dei dati sfuggono a volte fenomeni di rilevante importanza, di modo che risultano falsate le dimensioni reali dei fenomeni e in definitiva la loro interpretazione generale.

Cosi, mentre nel ventennio 1951-1970 si registra in tutta la provincia, un incremento demografico assoluto pari a 21.000 unità (solo il 9,9%, in media lo 0,4% annuo), ad un più attento esame dei dati raggruppati per zone risulta-chiaro che tale modestissimo incremento ha tra l’altro interessato solo pochi centri, e il capoluogo in particolare (+ 11,9%, + 23,1% ), mentre per altri (cinque, per la precisione), si è avuto un decremento assoluto che ai-riva fino al 19,1% (Chiaramonte).

Popolazione residente in prov. di Ragusa

anno                     1951                     1961                     1966                    1967

num. abit.           239.337               252.769               25.8.313              259.188

anno                     1968                     1969                     1970                     var. %

                                                                                   ( 30 nov.)                 (’51- 70)

num. abit.           258.506               259.953                   260.714                 + 8,9

 

Calcolando poi le variazioni intervenute nel decennio che va dal 1951 al1961 (data dell’ultimo censimento generale) nella composizione per settore della popolazione attiva, risulta che nella maggior parte dei comuni si è avuta una sensibile contrazione dell’attività produttiva in generale (agricoltura e industria).

Per quanto riguarda l’agricoltura, in tutta la provincia si passa dai 43.017 addetti del ’51 ai 35.791 del ’61, con una diminuzione pari al 19,3%. Viene di conseguenza a modificarsi profondamente la composizione della popolazione attiva in condizione professionale: mentre nel19 51 su l 00 persone occupate 54,3 lavoravano la terra, nel 1961 sono solo 46,3. L’economia provinciale rimane comunque eminentemente agricola.

Sempre dal 1951 al 1961, gli addetti all’industria passano da 9.360 a 9.221 unità (- 1,5% ), mentre sale da 24 a 27,8 la percentuale di occupati nell’industria.

Complessivamente, gli addetti alle attività produttive (agricoltura e industria) passanci da 52.377 a 45.012 unità( – 13,4″/o ), e dal 78,3 al 74,1% della popolazione in condizione professionale.

 

Settori                  Numero di addetti           variab.                per 1.000 abit.

                           1951            1961                 %                    1951      1961

agricoltura          43.017          35.791             – 19,3                  54,3       46,3

industria              9.360             9.221             – 1,5                    24,0       27,8

Totale                  52.377         45.012             -13.4                    78,3       74,1

Il settore terziario (commercio in particolare) esplode in forma patologica, tanto da far registrare, in molti ·comuni, una frequenza di addetti maggiore che per il settore industriale, fenomeno tipico di ·una economia malata).

Per il commercio, si passa da 5.326 a 7.406 addetti ( + 48,5% ); per le altre attività terziarie, da 2.603 a 3.567 addetti(+ 37,0% ). Il rapporto fra addetti al terziario e la popolazione in condizione professionale passa dal 21,7 al 25,9%.

settori                  numero di addetti            variab.                 per 1. 000 abit.

                                  1951      1961           %                         1951      1961

Commercio                  5.326    7.406        + 48,5                       22,2       31,3

altre att. ter.                 2.603    3.567         + 37,0                      10,4      14,1

Totale                          7.829     8.973                                       21,7      25,9

Nel 1961, ogni mille abitanti 141,6 erano addetti all’agricoltura, 35 all’industria, 31,3 al commercio, 14,1 alle altre attività terziarie. Dalla tavola che segue, risaltano chiaramente e le variazioni intervenute nel decennio e le differenze con la composizione delle forze di lavoro a livello nazionale.

Addetti per 1.000 abitanti

1951 | 1961 | var. %

agricoltura

prov. RG                                     176,6 141,1 -3,5

Italia

Industria

prov. RG                                      39,1  35,0  -0,41

Italia

Commercio

prov. RG                                      24,9  31,3  +0,64

Italia

Altre attività terziarie

prov. RG                                      10,4  14,1  +0,37

Italia

Complessivamente, il rapporto fra addetti ad attività agricole ed extra agricole e popolazione residente passa da 251 a 222 per mille, con una diminuzione di 29 persone in condizione professionale ogni 1.000 abitanti.

La conseguenza più visibile e drammatica della crisi economica e sociale che abbiamo esaminato è un’emigrazione di proporzioni tali da assumere le caratteristiche di fenomeno di massa. Dal 1952 al 1970, in soli 19 anni, il saldo attivo (eccedenza degli emigrati sugli immigrati) risulta pari a 24% . Ciò significa che in meno di un decennio la provincia di Ragusa ha perduto (mancato incremento naturale della popolazione) oltre il 10% della sua popolazione. Il fenomeno è pressoché costante nel tempo; anzi, per il 1970 si registra un più accentuato flusso migratorio. Esso, come vedremo successivamente, interessa in particolare alcuni comuni (zona interna più qualche altro ), in cui si registra un regresso assoluto di popolazione o un modestissimo incremento.

anni | eccedenza emigrati su immigrati | Di cui all’estero

1952-1961 9.233

1962          4.493                                 654

1963          2.605                                 185

1964          1.536                                 656

1965          1.040                                 756

1966          899                                    700

1967                                                    244

1968          2.740

1969         899

1970         909

L’andamento dell’emigrazione, oltre alla crisi economica locale, segue piuttosto fedelmente l’andamento del mercato del lavoro nazionale. Così, negli anni del boom economico, la maggior parte dei lavoratori emigra-verso l’Italia s~ttentrionale (Lombardia e Piemonte in particolare); negli anni della recessione si ha una maggiore emigrazione verso l’estero (Germania e Svizzera, soprattutto).

Il fenomeno migratorio dopo il 1963 (agli inizi degl( anni ’60 aveva avuto un ritmo intensissimo) sembra diminuire progressivamente.

Ma nel 1968 e nel 1970 poi si registra di nuovo una accentuazione. La crisi edilizia sembra destinata ad accrescere la schiera degli emigranti.

La scuola

Nella logica del sottosviluppo economico e sociale, alla scuola è riservato un ruolo ben preciso: da una parte essa assorbe una notevole aliquota di disoccupazione giovanile, costituendo una zona di ” parcheggio” per quanti debbono immettersi nel mondo del lavoro (disoccupazione dissimulata), permettendo così il superamento temporaneo di alcune grosse contraddizioni del sistema; dall’altra crea una massa di lavoratori in condizione proletaria altamente specializzati ( diplomati e laureati), che non possono in alcun modo essere assorbiti dall’asfittica economia locale, e sono destinati alla sottoccupazione e all’emigrazione verso zone più sviluppate, dove serviranno a calmierare il mercato del lavoro con una offerta a basso prezzo.

E’ anche da mettere in rilievo la parziale modificazione che si è determinata in questi ultimi anni nel ruolo riservato al Mezzogiorno nel campo della “produzione” intellettuale. Mentre tradizionalmente l’esportazione ha riguardato soprattutto la burocrazia (si vedano le pagine di Gramsci sul “patto” del capitalismo del nord con la piccola borghesia meridionale, all’indomani dell’unificazione nazionale), dagli anni ’60 in poi tale esportazione si è estesa alle specializzazioni tecniche. Le scuole sorte sull’onda delle speranze di una prossima rapida industrializzazione si sono trasformate in fabbriche di disoccupati altamente specializzati e destinati all’emigrazione.

D’altra parte, non è cambiato il ruolo egemone dei licei e degli istituti magistrali che, al momento dell’esplosione delle scuole tecniche, sembravano destinate ad un drastico ridimensionamento. Dopo una stasi di pochi anni, i licei riacquistarono tutto il loro “prestigio” (legato alle ampie possibilità di accesso all’università, e quindi ad una superiore specializzazione) . E’ variato solo il rapporto tra licei classici e scientifici, avendo questi ultimi superato le originarie diffidenze per essere scuole non abbastanza “astratte” ed inutili per essere accettate dalla piccola e media borghesia per i propri figli.

La provincia di Ragusa, al riguardo non fa eccezione. Confrontando i dati relativi agli ultimi 10 anni, si notano alcuni fenomeni di notevole importanza, illuminanti anche ai fini di un più generale discorso sulle sue condizioni economiche e sociale. La scuola è specchio fedele dei malesseri e delle carenze della società, anche quando viene offerta ed usata come valvola di sfogo per evitare l’esplosione di contraddizioni troppo laceranti.

La scuola elementare è quella che risente di meno la spinta di tali processi, segue molto da vicino le vicende demografiche, essendo già negli anni ’50 frequentate da quasi tutti i bambini in età scolare.

Così, nel 1968-69 si registra, rispetto ad un decennio prima, una leggera flessione nelle frequenze, (- 6, 2% ), dovuta ad una diminuzione della popolazione di quell’età (già nel ’60-’61 le frequenze scendono ·da 24.018 a 21.452).

La nuova scuola media, divenendo obbligatoria, viene frequentata da un numero sempre crescente di ragazzi. Dai 5.412 iscritti dell’anno scolastico 1958-59 (2917 scuola media, 2495 avviamento professionale) si passa ai 9.219 del1968-69, con un incremento del 70,3 per cento. Ma si è lontani dal pieno assolvimento dell’obbligo scolastico. Infatti complessivamente sono 31.639 i ragazzi che frequentano la scuola dell’obbligo (elementare + media), mentre sono circa 35.000 quelli compresi fra i 6 e i 14 anni. Si può calcolare che la media obbligatoria sia evasa dal 30 per cento circa dei ragazzi.

Ma le maggiori variazioni, ed i fenomeni che si prestano alle più interessanti osservazioni, si sono verificati nella scuola media superiore, che ha avuto, nell’ultimo decennio, una vera e propria esplosione. Dai 3.282 iscritti dell’anno scolastico 1958-59 si passa ai 7.390 del 1968-69, con un incremento del 125,9 per cento! Dai 631 diplomati relativi all’anno scolastico 1959-60 si passa ai 1.175 del 69-70 (+124,9 per cento). Gli istituti che hanno avuto la maggiore espansione sono il liceo scientifico(+ 402 per cento), gli istituti professionali(+124,2 per cento), i tecnici commerciali e per geometri (+ 123 per cento), il magistrale (+ 102,71 per cento). Ma anche il liceo classico fa registrare un sensibile incremento nel numero degli iscritti (+ 26,2 per cento). L’istituto tecnico industriale nasce nel 1960-61, con 9 classi e 273 alunni (sono gli anni dell’”oro nero”.

Nel1968-69, gli iscritti sono stati 340 (t 24,5 per cento); nel 62-63, giova ricordarlo, si era arrivati a 44 7 alunni, con 16 classi.

Riepilogando, il 31,9 per cento degli studenti medi superiori frequenta i licei (16,5 scientifici, 14,5 classici), il 20 per cento le magistrali. Le scuole “umanistiche” assorbono cioè il 51,3 per cento degli studenti.

Gli istituti tecnici in complesso hanno 2.274 iscritti (30,7 per cento), gli istituti professionali 1.082 (14,6 per cento).

Giovanni Spampinato