Giovanni Spampinato. L'Ora, giovedì 3 agosto 1972

Delitto Tumino: Il figlio del magistrato dice: “Non sono io l’assassino”

La conferenza stampa di Roberto Campria “indiziato” del delitto, per fugare le voci
che corrono insistenti sul suo conto: “Collaborerò con la giustizia per smascherare
il vero assassino” – I dubbi, le indagini

di Giovanni Spampinato

RAGUSA, 3 agosto 1972 – Per cinque mesi Roberto Campria è stato ritenuto un assassino. Il suo nome era saltato fuori fin dall’inizio delle indagini sullo sconcertante omicidio dell’ingegnere Angelo Tumino, il professionista ragusano freddato barbaramente da un individuo che rimane ancora oggi avvolto nel mistero. L’omicidio avvenne la sera del 25 febbraio, Il cadavere fu ritrovato l’indomani verso mezzogiorno in una sperduta trazzera in contrada Ciarberi.

Il martedì successivo il nostro giornale scriveva: “Sotto torchio il figlio di un magistrato”. Roberto Campria immediatamente ci querelava. Ma al processo, che si celebrò il 18 aprile presso il Tribunale di Palermo, non si presentò. L’Ora fu assolto ed il querelante condannato al pagamento delle spese. Intanto – erano già passati due mesi – le indagini, condotte dai CC per conto della Procura della Repubblica di Ragusa, non davano alcun esito: a Ragusa si diceva, più o meno apertamente, che si tentava di insabbiare il caso perché si voleva coprire proprio Roberto Campria, figlio del presidente del Tribunale.

L’Affare Tumino, che già di per sè, è il più grave fatto di sangue che si ricordi a Ragusa da alcune decine di anni a questa parte, assumeva delle tinte preoccupanti. Si parlava con insistenza di coperture di tipo mafioso, e si ricordava un colloquio dell’Antimafia col padre dottor Saverio, allora presidente del Tribunale di Sciacca (l?Antimafia esprimeva delle perplessità sulla personalità del magistrato). Il ragionamento che si faceva era questo: Roberto Campria ha ucciso l’ingegnere Tumino, la magistratura lo sospetta, ma non procede con la dovuta  decisione per riguardo del padre.
Conclusioni gravissime, e decisamente scoraggianti. Ma mentre molti, moltissimi, e tra questi anche persone  vicine alla famiglia Campria, erano pronte a parlarne “in privato”, nessuno osava dirlo apertamente.
L’Ora ha ritenuto non solo giusto, ma doveroso dire chiaramente queste cose, anche per provocare delle reazioni, perché fosse fugato ogni dubbio sulla magistratura, perché i cittadini tornassero ad avere fiducia nell’indipendenza di giudizio dei magistrati. abbiamo scritto sul caso Tumino il 28 aprile, il 29 maggio e il 7 luglio, sempre facendo il nome di Roberto Campria.
Ora la reazione c’é stata. Roberto Campria ha voluto parlare con i cronisti che si sono occupati del caso Tumino, con noi e con chi il suo nome non ha fatto.
“Voglio proteggere la mia vita privata – ha detto Campria – che è la cosa che ho più cara al mondo. Per farmi un nome ci sono voluti trent’anni: per distruggerlo è bastato un minuto. Prima dia desso la stampa aveva fatto il mio nome solo perché ero presidente del Circolo di tiro a volo”.
Sarà difficile togliere di testa alla gente che lui ha assassinato l’ing. Tumino. “Lo so – dice Campria -, ma ho pagato un prezzo troppo alto per una colpa che non ho. Sono stato colpito negli affetti più cari. Ora voglio dire basta”.
Ci parla brevemente di sé. Ha appena compiuto i trenta anni (è nato a Roma il 1° agosto 1942), ha il diploma di geometra, è iscritto all’Università in giurisprudenza; è impiegato da quattro anni presso  l’Amministrazione provinciale (laboratorio di igiene mentale), è celibe: avrebbe dovuto sposarsi a settembre con una ragazza con cui è stato fidanzato per oltre tre anni, ma il fidanzamento è stato rotto alcuni mesi fa. Frequentava da un anno l’ingegnere-antiquario Tumino perché, dovendo mettere su casa, pensava di arredarla con mobili antichi.
Roberto Campria spiega con calma e con precisione di particolari le circostanze che lo hanno portato nella scomoda posizione di persona non indiziata di reato ma additata dall’opinione pubblica come un assassino.
“Mi sono trovato come si trova il cittadino italiano che suo malgrado si trova ad avere a che fare con la giustizia”. Ma l’amara polemica con la magistratura, curiosa nel figlio di un magistrato, finisce qui. Roberto Campria ha un alibi per venerdì 25 febbraio: “Non posso essere io la persona che per tutto quel giorno fu vista in compagnia dell’ingegnere. La mattina, sono stato in ufficio; il pomeriggio, prima da un radiotecnico per chiedere informazioni sul funzionamento di un registratore che non adoperavo da un anno, poi alla scuola di servizio sociale che frequentavo con la mia fidanzata. La sera l’ho trascorsa in compagnia di amici. Se mi sarà chiesto dal magistrato (Campria pensa che sarà di nuovo chiamato, dato che nei giorni scorsi il processo è passato nella fse istruttoria, n.d.r.), si potrà facilmente controllare. Il giorno successivo al delitto, è vero, mi trovavo a casa dell’ingegnere quando i suoi parenti telefonarono e mi dissero che il mio amico aveva avuto un grave incidente.
“Io avevo  libero accesso a casa dell’ing. Tumino, ero una delle poche persone a cui il piccolo Marco, il figlio naturale dell’ingegnere, sapeva di potere aprire la porta. Appena appresa la notizia mi recai all’Ospedale Civile, pensavo si trattasse di un incidente automobilistico. Lì non seppero dirmi nulla. Telefonai all’ospedale di Ibla: niente. allora andai dove pensavo fosse Ciarberi, ma sbagliai strada. a questo punto mi recai dai carabinieri. Chiesi se sapevano dirmi dell’incidente occorso all’ing. Tumino. Mi fecero attendere a lungo. Poco dopo fui accompagnato presso un graduato che mi disse senza tanti complimenti che Tumino era stato ucciso. Rimasi scosso dalla notizia della morte dell’amico. Mi misi immediatamente a disposizione della magistratura per aiutarla a cercare i possibili moventi, i possibili autori del delitto. Io, fin dall’inizio sono stato un collaboratore volontario della giustizia. Mai un indiziato”.
Ma su Roberto Campria si è detto ben altro. Come spiega, gli abbiamo chiesto, il fatto che per mesi è rimasto zitto, non ha ritenuto necessario smentire quanto si diceva sul suo conto? Come mai non ha pensato che il suo silenzio fosse considerato una tacita conferma dei sospetti?
Campria dice che, dopo la querela al nostro giornale,  non aveva dato più importanza alle voci sul suo conto. Ma recentemente, di ritorno da un breve viaggio, si è accorto che il suo nome a Ragusa era sulla bocca di tutti. Gli arrivavano anche telefonate anonime di persone che lo chiamavano “assassino”!
Roberto Campria, che con ogni probabilità non ha nulla a che vedere con il delitto, torna all’ombra. Quanto si dovrà aspettare perché esca fuori il nome del vero assassino?
Intanto, con la stessa autorevolezza con cui era stata smentita, è stata confermata la notizia che gli atti del processo istruttorio sono stati trasferiti alla Procura generale di Catania.
A decidere il trasferimento sarebbe stata la Cassazione. Per quale motivo? Per  legittima suspicione?
Giovanni Spampinato