Giorgio Chessari. 6 novembre 2007

Il nesso col delitto Tumino e l’allarme che non riuscimmo a cogliere

Ragusa, 6 novembre 2007 –Sono orgoglioso del lavoro di Giovanni, dell’impegno che egli vi ha sempre profuso, della limpidezza morale della figura di mio figlio così come emerge dai suoi articoli. In famiglia seguivamo con partecipazione il suo lavoro e adesso sentiamo non solo la mancanza incolmabile di un figlio, ma anche quella delle telefonate al giornale, del ticchettio della macchina da scrivere, di quella nobile maniera di Giovanni di esprimere il proprio impegno civile e politico”.

Con queste parole di Giuseppe Spampinato, padre del giornalista assassinato il 27 ottobre 1972, magistralmente lette da Giorgio Sparacino, si è aperto e chiuso il recital dell’”Inchiesta drammaturgica sul caso Spampinato”, montata con sapienza drammatica e perizia tecnica da Roberto Rossi e Danilo Schininà. I due giovani autori hanno composto l’opera con grande rigore filologico, utilizzando l’ampia documentazione offerta dagli articoli di stampa, dai rapporti della polizia giudiziaria, dalle deposizioni e testimonianze dei protagonisti di quella tragica vicenda che scosse Ragusa e l’Italia. (…)

Lo si voglia o no il caso Spampinato riconduce al caso Tumino. Senza il caso Tumino non ci sarebbe stato il caso Spampinato. Il caso Tumino, su questo occorre essere chiari, non fu un’invenzione giornalistica, non fu inventato né dalla corrispondente della agenzia Ansa di Ragusa, che fra l’altro allora era Clementina Perrone, moglie di Vittorio che con il fratello Enzo Perrone erano tra i più seri, sperimentati e prudenti giornalisti che c’erano non solo a Ragusa, ma anche in Italia. Il caso Tumino non fu inventato da Giovanni Spampinato, il quale nonostante la giovane età, era una persona animata da una grande carica ideale ed etica e avvertiva pressante l’esigenza del rispetto dei diritti della persona umana, indipendentemente dalla vicinanza ideologica, politica o di classe. I fatti dimostrano che non gli fece mai velo che l’Ing. Angelo Tumino o lo stesso Roberto Campria fossero lontanissimi dalle sue posizioni politiche, ideali e culturali. Egli chiese che si accertasse la verità sull’uccisione di Angelo Tumino e non si tirò indietro nemmeno di fronte al dovere professionale di riportare il punto di vista di Roberto Campria.

Mi addolora dover leggere ancora, a moltissimi anni da quei tragici avvenimenti, opinioni di persone che ben conoscono i fatti, che fanno proprio il punto di vista dell’assassino, del tutto inconsistente oggettivamente e rigettato persino dalle stesse sentenze della corte d’assiste e della corte d’appello, secondo il quale Giovanni Spampinato lo avrebbe provocato.

Occorre avere l’umiltà di prendere atto della triste realtà. Infatti, non si può non restare colpiti a rileggere, alla distanza di oltre trentacinque anni, quanto Giovanni Spampinato scrisse sulla tragica vicenda del delitto di contrada Ciarberi: “sarà trasferita per legittima suspicione ad un magistrato non siciliano l’istruttoria sull’omicidio dell’ingegnere ragusano Angelo Tumino, freddato da un assassinio ancora ignoto la sera del 25 febbraio con un colpo di pistola sparato a bruciapelo, sulla fronte? Nessuna notizia né “ufficiosa” né tanto meno ufficiale, è venuta in questo senso dalla procura della repubblica di Ragusa. Anzi sembra che l’orientamento della magistratura sia molto diverso. Si ha l’impressione che si proceda verso l’archiviazione dell’intera pratica. La domanda però se la pone l’opinione pubblica, ancora scossa, a tre mesi dalla tragedia, dall’efferatezza del crimine, che non ha portato né ad un fermo né tanto meno all’arresto dell’assassino. La gente di Ragusa si chiede se il provvedimento non sarebbe quanto meno opportuno, per fugare i dubbi residui che ha suscitato la posizione in cui si è venuto a trovare il figlio del presidente del tribunale di Ragusa a lungo ripetutamente interrogato dal magistrato inquirente subito dopo il delitto”.

Purtroppo Giovanni Spampinato non si sbagliava. Anzi dimostrava una non comune acutezza d’ingegno, perché i responsabili del delitto Tumino restarono ignoti. Infatti in data 21 ottobre 1975 il giudice istruttore emise il provvedimento di archiviazione del procedimento relativo all’uccisione del professionista ragusano.

Si può dire che fu conseguenza del caso, che fu fatto ogni sforzo per fare luce sul delitto? No. Purtroppo nessuno di quanti allora eravamo impegnati sul fronte della politica e nelle istituzioni avevamo avuto la percezione dell’ennesima tragedia che si stava compiendo nella nostra città. Ne avemmo piena coscienza solo quando ormai era troppo tardi, la sera in cui venimmo a conoscenza dell’uccisione di Giovanni. Allora capimmo quanto egli avesse avuto ragione a chiedere che l’indagine sull’omicidio Tumino venisse avocata dalla procura generale presso la corte d’appello di Catania.

Ancora oggi come ieri il miglior modo di onorare la memoria di Giovanni Spampinato è di prendere atto che allora ci fu qualcosa che non funzionò nella percezione di quanti eravamo impegnati nella vita politica, – a cominciare da coloro che svolgevamo un lavoro comune con Giovanni, – e nelle istituzioni preposte alla tutela dell’ordine pubblico e nell’amministrazione della giustizia.

Poco dopo l’uccisione di Giovanni, un illustre penalista, Salvo Riela scrisse su “l’Ora” del 31 ottobre 1972: “L’opinione espressa da più parti, sin dalle prime ore successive all’assassinio, è che forse Giovanni Spampinato sarebbe ancora in vita se la persona sospettata dell’uccisione dell’ingegnere Angelo Tumino non fosse stato il figlio del presidente del tribunale di Ragusa. E’ innegabile, infatti, che gli inquirenti, nello svolgimento delle indagini, non si imbatterono in un qualsiasi cittadino, ma direttamente nel dottor Saverio Campria, presidente del tribunale, che ha fatto valere la sua autorità ed il suo prestigio sino ad apparire insieme al figlio in una conferenza stampa sull’omicidio Tumino. Non ci stupiremmo, perciò, se venendo a conoscenza degli atti relativi alla morte dell’ingegnere Tumino, ci accadesse di riscontrare delle circostanze non sufficientemente valorizzate, delle indicazioni non adeguatamente approfondite o degli indizi non tenuti nella dovuta considerazione”.

L’inchiesta drammaturgica sul Caso Spampinato di Roberto Rossi e di Danilo Schininà ha offerto un quadro oggettivo, di quella vicenda, facendosi espressione dell’ansia di verità che è ancora avvertita da tanti.

Quell’ansia di cui si fece interprete Clementina Perrone, una grande giornalista che fu tanto vicina a Giovanni, la quale scrisse: “Sparando al cronista l’assassino si è forse illuso di uccidere i sospetti di mezza città. La popolazione di Ragusa, inorridita, invoca che siano chiarite tutte le responsabilità e le eventuali complicità. Chi per amore di verità ha perduto la vita, deve ottenere piena giustizia”.
Giorgio Chessari

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