Una riflessione di Matteo Albania, studente

Nel 1972 Ragusa era un paradosso, e lo è ancora

Ragusa, 2 settembre 2009 – Il libro “C’erano bei cani ma molto seri” di Alberto Spampinato racconta una storia intrisa di verità che s’innesta sul tema del ricordo e, per converso, dell’oblio. Verità e ricordo paiono essere i temi conduttori della storia di Giovanni Spampinato, corrispondente ragusano dell’ Ora di Palermo, assassinato perché passionale, vivo, pensante. La verità di Giovanni e il ricordo di Alberto.

L’intera vicenda del cronista ragusano è affidata alla penna del fratello Alberto che ne delinea le forme, fatica e lascia apparire quella tensione di chi non vuole ricordare ma deve testimoniare. È la scrittura della verità che al tempo stesso si rivela e si nasconde, è alla portata di tutti ma è offuscata da coscienze renitenti omertose. È la verità che Alberto Spampinato distilla, goccia dopo goccia, dalla roccia iblea, dalla provincia apparentemente “babba”, “isola nell’isola”. È superando le proprie paure che Alberto riesce a comprendere quelle della Sicilia, di Ragusa, del fratello Giovanni.

Il ricordo riaffiora a strappi, come un coup de force, una violenza dovuta, necessaria. Lento procede nella descrizione dei luoghi, delle usanze, delle logiche e degli ideali della Ragusa degli anni 60’ e della famiglia Spampinato che in quella città era talvolta incastrata, talvolta emarginata. Le immagini familiari, topiche, che ci disegnano la storia nei primi passi, riecheggiano la scrittura di Diletta Barone e soffrono della malinconia dell’esule, di chi ha scelto la fuga non per vigliaccheria ma per coraggio, coscienziosità. È lo stile a tratti metastorico di Consolo e a tratti impegnato, pungente di Sciascia. È lo stile di Alberto e Giovanni, dai percorsi così diversi che si ricongiungono nella scrittura giornalistica, del ricordo. Alberto cerca la verità così come la cercava Giovanni. Sono entrambi coscienti che esiste, ma la via per giungervi è tortuosa, tormentata. Così la storia di Giovanni Spampinato narrata dalla penna del fratello assume contorni e sfumature che mai nessun altro era riuscito a rendere.

Il ricordo di Alberto deve fare i conti con la solitudine, sua e di tutti i topoi che caratterizzano la vicenda. È sola la famiglia Spampinato, in quella Ragusa vestita a festa che mal sopportava l’ateismo e il comunismo ed in cui Giovanni non si specchiava. È solo Alberto, nelle sue scelte di vita, nei suoi cammini. È apparentemente sola Ragusa, appendice di un Isola i cui problemi sembrano parenti lontani. Ragusa che si veste pirandellianamente di una maschera che non le appartiene e che Giovanni con la sua penna tagliente cerca di squarciare per rendere onore al vero.

La provincia “babba” si riscopre fascista, mafiosa, impregnata di delinquenza e trame oscure fino ai piani più alti del Palazzo. È solo Giovanni, a Ragusa come altrove. È solo nel suo lavoro: nessun altro giornalista si interessa alle sue inchieste né tantomeno lo mette in guardia o lo tutela dal pericolo che corre. È solo davanti alla sua macchina da scrivere, con le sue informazioni, i suoi fatti e solo quelli perché non raccontava favole.  Alberto e Giovanni narrano, ricordano la verità che sempre appare ospite sgradito in Sicilia. Ragusa si scopre parte della Sicilia, omertosa, fascista, da scandagliare a fondo, da spogliare per poterne analizzare i più intimi segreti.

Sembrano altri tempi quelli degli Spampinato ma ricordano, rievocano i tempi attuali: la provincia ha rivestito gli abiti di “babba” e nuovi vati sono chiamati a cercare la verità. Ragusa era è resta un paradosso e il giornalismo rispecchia la realtà iblea. Terra che ha dato i natali ai fratelli Spampinato il cui impegno per la verità è lapidario, terra che ha dato i natali a tutti quei giornalisti che quando Giovanni Spampinato gridava, non volevano ascoltare. E ora Giovanni e “gli altri” hanno la stessa memoria, una strada per ricordarli.

Alberto Spampinato ha però rotto il guscio, ha percorso la strada del fratello e ha scelto di ricordarlo con un libro che è più che una strada, è la voce di Giovanni che negli ultimi istanti si è trasformata in latrato di  cane da guardia del potere, serio e solo. Ora nel ricordo.

Matteo Albania