“Don Ciotti: Che guaio se Ragusa dimentica Giovanni”
L’intervento del presidente di Libera al convegno “Noi e Giovanni, una vittima dimenticata e il dovere della memoria. Ricordi, testimonianze, proposte”, promosso dall’Associazione  Giovanni Spampinato, il 26 Aprile 2010 alla Sala Avis. 

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RAGUSA, 27 APR 2010 – ”Com’è possibile che Ragusa abbia dimenticato Giovanni Spampinato per così tanti anni? Che ancora adesso, dopo 38 anni, la sua città non faccia qualcosa per ricordarlo come merita?”, ha chiesto il presidente di Libera, don Luigi Ciotti, al convegno “Noi e Giovanni”, promosso lunedì 26 maggio 2010 a Ragusa dall’Associazione Giovanni Spampinato e da Libera per ricordare il cronista assassinato nel capoluogo ibleo il 28 ottobre 1972.Lo stesso giorno don Ciotti ha partecipato a un incontro sulla legalità al Liceo Scientifico “Enrico Fermi” di Ragusa, promosso dalla professoressa Tina Petrolio. Anche nel corso di questo incontro ha parlato di Giovanni Spampinato, invitando  gli studenti a conoscere la sua storia e i suoi scritti e a ravvivarne il ricordo.

Don Ciotti ha ricordato che Giovanni era il corrispondente del giornale L’Ora ed aveva 25 anni quando fu ucciso. Aveva una concezione ideale del suo mestiere di giornalista e lo svolgeva fino in fondo, nell’interesse collettivo, sentendosi titolare e responsabile della funzione pubblica di informare la comunità di tutti i fatti importanti per la comunità. Era un cronista corretto e scrupoloso e privilegiò sempre il diritto dei cittadini di essere informati. Non dava mai niente per scontato, cercava i dati, li verificava, teneva conto dell’attendibilità delle fonti, rappresentava tutti i punti di vista. Pubblicava anche le notizie scomode su personaggi potenti, pur sapendo che così si isolava da altri giornalisti e correva dei rischi. Fu ucciso proprio per avere pubblicato una notizia di questo genere, una notizia che gli altri giornalisti non pubblicarono. In questo senso, ha aggiunto il presidente di Libera, la storia di Giovani ricorda quella di Giancarlo Siani, ucciso a Napoli nel 1985 dalla camorra. Fra l’altro, quando furono uccisi Giancarlo e Giovanni avevano la stessa età. La storia di Giancarlo è stata raccontata da Marco Risi nel film Fortàpasc”.  Quella di Giovanni nel libro del fratello Alberto, “C’erano bei cani ma molto seri”, nel quale, ha detto Don Ciotti, “si dice una cosa con cui concordo pienamente: l’assassinio di Giovanni non riguarda solo la sua famiglia, ma tutta la città, è una ferita per tutta la comunità di Ragusa, una ferita ancora aperta che chiama a riflettere’’.

“Giovanni aveva passione per la sua città. Credo che sia stato un atto d’amore per la sua città scrivere quelle pagine, quegli articoli su fatti e misfatti. E’ un atto d’amore perché uno che ama la giustizia, la libertà, la vita umana vuole il bene della sua città e del suo territorio. Giovanni ha scritto di quei misteriosi intrecci, di quelle connessioni, di quelle distorsioni.  Sono quelle che lo hanno portato alla morte”.

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“Ogni cittadino di Ragusa – ha aggiunto don Ciotti – dovrebbe dire: quando spararono a Giovanni hanno sparato anche a me. Colpirono uno che lavorava anche per me. E’ un brutto guaio se Ragusa dimentica Giovanni, se non riesce a ricordarlo come merita, se non prende coscienza di tutto ciò, se i concittadini non chiedono di fare piena luce sulla sua morte”.  Don Ciotti ha messo in evidenza un paradosso:

Giovanni ha perso la vita per cercare la verità, ma “mancano ancora verità e giustizia sulla sua morte. Non ci dobbiamo rassegnare – ha aggiunto – davanti alle risposte che mancano. Dobbiamo impegnarci per  avere verità e giustizia e per fare conoscere la storia di Giovanni. Tutti devono sapere che Giovanni e’ stato ucciso perché difendeva la libertà. Tutti devono sapere che per la stessa ragione, sono stati uccisi molti altri siciliani, perché la Sicilia è una terra di soprusi e di sopraffazioni, dove la libertà si difende combattendo una lotta di resistenza. Una lotta per la libertà, l’informazione, la democrazia, che sono strettamente intrecciate: senza una di esse, non ci sono le altre due”.

”Giovanni era un giornalista coraggioso che non si fermava alla superficie dei fatti. Scendeva in profondità, com’e’ necessario. Non c’e’ dubbio che sia stato ucciso per questo. Per lo stesso motivo sono stati uccisi dalla mafia in Sicilia altri sette giornalisti: Cosimo Cristina, Mauro De Mauro,  Mario Francese, Pippo Fava, Mauro Rostagno, Peppino Impastato, Beppe Alfano. Dobbiamo ricordarli tutti, dobbiamo conoscere la storia di ognuno di loro”.
Don Ciotti ha concluso sollecitando nuove iniziative a livello locale e nazionale, da parte della società civile e delle istituzione, per far conoscere la vita e gli scritti di Giovanni, ed anche il contesto in cui fu ucciso: quello della provincia periferica, non illuminata dall’informazione della grande stampa; il contesto del torbido mondo  dell’eversione nera collegata a settori della malavita e della mafia e a pezzi di istituzioni.

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Giovanni ci ricorda che abbiamo il grande dovere e la responsabilità di coltivare la memoria delle vittime e di trasmetterla alle nuove generazioni, perché nella memoria ci sono le nostre radici, la nostra ancora.
La richiesta è stata condivisa dagli altri relatori che hanno  preso la parola: il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Sicilia, Franco Nicastro; il segretario dell’Associazione Siciliana della Stampa, Alberto Cicero; il vice presidente dell’Associazione Giovanni Spampinato, Giovanni Meli; Alberto Spampinato, fratello di Giovanni, giornalista dell’Ansa. Intanto Libera- Ragusa è stata intitolata a Giovanni Spampinato, ha annunciato il referente provinciale Gianluca Floridia.
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