Giovanni MeliI: le istituzioni ricordino Giovanni

L’introduzione del vice presidente dell’Associazione Giovanni Spampinato al Convegno “Noi e Giovanni” del 26 aprile 2010 alla Sala Avis di Ragusa:

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Ringrazio tutti coloro che hanno accolto il nostro invito.

  • Innanzitutto Don Luigi Ciotti, che non ha certo bisogno di essere presentato e che salutiamo calorosamente;
  • il Segretario dell’Associazione Stampa Siciliana, Alberto Cicero
  • il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Sicilia, Franco Nicastro, amico e collega di Giovanni, ancora una volta a Ragusa con noi per portarci  il suo prezioso contributo.

Ringraziamo il Sindaco Di Pasquale e il Presidente della Provincia Regionale Antoci,  per la sensibilità dimostrata e per il qualificato contributo che  daranno a questo convegno e per le finalità che esso si prefigge di raggiungere.

Registriamo e ringraziamo per essere questa sera con noi:
  • La Dott.ssa Cannizzo, Prefetto di Ragusa;
  • il Dott. Petralia, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ragusa;
  • Il Dott. Duchi, Giudice del Tribunale di Ragusa, già Presidente dello stesso Tribunale;
  • Riteniamo di dovere considerare presente, anche se virtualmente, il Dott. Brancatelli, Presidente del Tribunale di Ragusa, non presente fisicamente per precedenti impegni assunti.

Ancora una volta è con noi, o lo sarà più tardi perché ancora non è arrivato, Luciano Mirone, autore, per chi non lo sapesse, del libro “gli insabbiati, storie di giornalisti uccisi dalla mafia e sepolti dall’indifferenza”. Sono otto storie, fra cui quella di Giovanni Spampinato, otto giornalisti ammazzati per mano della mafia, le cui vicende si è tentato in qualunque modo di insabbiare.

Un saluto caloroso rivolgiamo a tutti gli intervenuti.
Preciso che questi saluti per noi non sono per nulla  retorici.
Ma consentitemi di rivolgere un ringraziamento particolare ad Alberto Spampinato, fratello di Giovanni e presidente della neonata associazione “Giovanni Spampinato”. Non l’ho mai fatto, perché alcune cose spesso si  danno per scontate, specie quando ci sono certi rapporti personali .  Voglio dire che il suo  impegno, sicuramente molto tormentato e sofferto  e  di cui è testimonianza il suo libro “c’erano bei cani ma molto seri – storia di mio fratello Giovanni ucciso per avere scritto troppo”,  ci ha restituito, se ce ne fosse stato ancora  bisogno, il Giovanni vero, il Giovanni che da vivo  ha rappresentato, e che la sua memoria continua a rappresentare,  l’aspetto nobile della “ragusanità”, l’onestà, la semplicità, l’amore per la verità e il coraggio, un fine intellettuale, il giornalista che voleva fare fino in fondo e con estrema serietà e coerenza deontologica il suo mestiere.  E non è cosa da poco se finalmente la limpida figura e la memoria di Giovanni si impone,    a livello nazionale, come riferimento del giornalismo e dell’impegno civile e  se la sua  storia è apparsa e appare  oggi sempre  più emblematica delle difficili condizioni in cui si svolgeva allora, ma in cui si svolge ancora  oggi il lavoro di cronista non solo in provincia, e non solo in Sicilia, ma in tutto il territorio nazionale.
A Ragusa, invece, nella città dov’è nato, nella città dove è stato ammazzato, la memoria di Giovanni è stata cancellata quasi completamente, sepolta. Molto scomodo parlare di Giovanni e della sua drammatica vicenda, perché  ciò imporrebbe qualche interrogativo,  qualche domanda, forse di troppo.   Nella sua città, quindi, Giovanni è stato riposto, colpevolmente e dolosamente, nel dimenticatoio.  E se a Ragusa di tanto in tanto si sente parlare di Giovanni lo si deve alle lodevoli iniziative del Centro Studi Feliciano Rossitto, che dispone, per altro, di un archivio consistente su Giovanni e sulle sue attività. Lo si deve  all’impegno serio profuso da Carlo Ruta, che sulla vicenda ha già scritto due libri, che gli sono costati, fino adesso, ben dieci processi; lo si deve  all’inchiesta drammaturgica sul caso Spampinato di Roberto Rossi e Danilo Schininà, andata già in scena a Ragusa e a Riccione; lo si deve a Luciano Mirone. Valutiamo tutti questi fatti molto importanti.
Ma prima ancora che Giovanni fosse precipitato nell’oblio,  sul suo corpo martoriato   fu  consumato un  vile scempio. Certa stampa, sedicente libera, certi suoi colleghi – si fa per dire –  promossero una vergognosa campagna di  delegittimazione della figura di  Giovanni.  Stessa cosa successe nelle aule dei Tribunali. Di Giovanni fu disegnato un ritratto a tinte fosche che, però, nulla, ma proprio nulla aveva in comune con la sua personalità, con la sua cultura, con la sua indole molto mite, con i suoi metodi di lavoro estremamente scrupolosi. A scena aperta, le parti furono invertite. La vittima, Giovanni, divenne carnefice e  fu rappresentato come un mostro,  accecato da furori ideologici e animato da profondo odio  di  classe. Il  carnefice, invece, fu rappresentato come una vittima innocente,  un agnello sacrificale. Le sue frequentazioni pericolose, il suo facile armeggiare con pistole e fucili,  non avevano rilevanza alcuna. Essere figlio del Presidente del Tribunale, per altro già oggetto – il padre – di interesse dell’antimafia, significava appartenere ad una casta di intoccabili, perciò stesso da riverire, a prescindere.

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Eppure,  una parte della comunità ragusana sana, una parte piccola ma culturalmente qualificata, reagì. Un gruppo di intellettuali cattolici accusò sé stesso e criticò la stampa sedicente libera,  il perbenismo benpensante e il conformismo di comodo, difese la figura di Giovanni, disse che Giovanni era stato ucciso in nome collettivo.   Non servì a nulla. Quella presa di posizione poneva alla comunità problemi impegnativi, interrogativi, la stimolava ad assumersi le proprie responsabilità.  Tutto vano, naturalmente.  Il nostro amico Luciano Nicastro, uno dei firmatari di quel documento e socio dell’Associazione Giovanni Spampinato, scrive  che allora il Potere, che non era un concetto astratto e metafisico, ma una realtà pervasiva presente in modo capillare, fuorviante e deviante, fece passare  e diffuse ad arte la tesi secondo cui la nostra provincia era “babba”, quindi sana ed esente da fenomeni malavitosi. Pertanto, l’assassinio di Giovanni poteva essere derubricato dal rango di grande delitto a quello più comodo di fatto episodico di cronaca nera.  Aggiungo io, che quel Potere nulla faceva filtrare  dei diversi disegni criminosi che  allora interessavano la nostra provincia e su cui Giovanni , e solo Giovanni, condusse serie e  documentate inchieste giornalistiche.
Carlo Ruta, che ha studiato attentamente le carte processuali, scrive che la morte del giornalista dell’Ora di Palermo è stata raccontata  come un delitto di provincia e che la morte di Tumino, irrisolta sul piano giudiziario, viene  evocata dalle cronache come un delitto misterioso, forse per rapina, forse per una controversia  nel mondo dell’antiquariato, forse per questioni di donne. In realtà, scrive ancora, i due delitti costituirono un affare complesso, che assume un preciso rilievo nella vita siciliana, nel clima fosco e accidentato degli anni settanta.
Perché dico queste cose? Certamente non  perché l’Associazione intitolata a Giovanni si vuole sostituire ai Tribunali, e nemmeno per chiedere la revisione di processi celebrati e di approfondire inchieste finite nel nulla, anche se non saremo noi a dire di non procedere in questa direzione se ci saranno le condizioni. A noi interessa parlare del rapporto fra Giovanni e la sua città, quello che c’era allora e quello che hanno i suoi concittadini con la sua memoria. E non possiamo non ricordare che uccidendo Giovanni hanno subito un gravissimo torto non solo lui ed i suoi familiari, ma  l’intera comunità ragusana, che è stata scippata del diritto di essere informata, prima, e del diritto di avere giustizia, dopo. Per decenni Giovanni è stato dimenticato: si è parlato di lui come di un poveretto che non si faceva i fatti suoi, senza dire che era invece un giornalista e dei più valorosi, come è stato riconosciuto finalmente negli ultimi cinque anni dalla stessa categoria dei giornalisti e da alti rappresentanti delle istituzioni. Questa è una parziale riparazione di anni di oblio, che ci fa sperare. Ora che a livello nazionale la figura di Giovanni ha avuto i giusti e meritati riconoscimenti,  osiamo sperare che finalmente anche Ragusa riesca a fare la sua parte. Noi ci auguriamo che Ragusa capisca che la memoria di Giovanni Spampinato merita attenzione, rispetto e riconoscenza.  Noi chiediamo che la città di Ragusa, a partire dalle sue istituzioni, assuma iniziative concrete, per fare conoscere alle nuove generazioni la storia esemplare di Giovanni Spampinato, che rappresenta un patrimonio umano e professionale di grande spessore, un esempio morale alto, e che perciò merita di  trovare una degna collocazione permanente  nella memoria  della sua comunità. Lo diciamo con le parole del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano:  “Giovanni Spampinato ha onorato la professione giornalistica e i valori di verità, legalità e giustizia. E’ importante che si rifletta sul giornalismo di inchiesta attraverso la storia dei cronisti come lui  che in ogni parte d’Italia hanno offerto significative testimonianze di coraggio professionale, di impegno civile e dedizione ai principi costituzionali di democrazia e libertà. Queste storie, drammatiche ma esemplari, vanno conosciute come parte essenziale di una memoria condivisa da trasmettere alle nuove leve del giornalismo e alle nuove generazioni”.
Concludo citando alcuni fra i più significativi  riconoscimenti che recentemente sono stati dati alla memoria di Giovanni Spampinato:
  • Nel 2007:

– Alla memoria  di Giovanni  è stato assegnato  uno dei riconoscimenti più prestigiosi del mondo dell’informazione, il  Premio Saint-Vincent di Giornalismo.

La Giuria “ha riconosciuto nella sua vicenda quella di tutti i giornalisti  vittime della mafia e del terrorismo”;
– Il Premio di Giornalismo Mario Francese si svolge a Ragusa,  alla presenza dell’allora presidente della Commissione Antimafia Francesco Forgione, in segno di omaggio a Giovanni  e con la stessa motivazione del Premio Saint-Vincent;
– Il Gruppo siciliano dell’UNCI – Unione naz.le cronisti italiani – e la sezione  Palermitana dell’ANM – Associazione Nazionale Magistrati – hanno ricordato cinque vittime cadute per mano mafiosa, con una manifestazione svoltasi a Palermo, presso il Giardino della Memoria, dove stati piantati alberi per ricordare il giudice Cesare Terranova e il maresciallo della polizia di stato Lenin Mancuso, il giornalista Giovanni Spampinato, l’agente di polizia penitenziaria Antonino Burrafato, il maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli.

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  • Nel 2008

– Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricordato  la figura di Giovanni dicendo che, come Giancarlo Siani, “con la sua vita e con la sua morte ha illustrato la professione giornalistica”.

  • Nel 2010:

– Due classi del Liceo Aldo  Moro e dell’Istituto Artistico G. Chierici di Reggio Emilia hanno adottato la memoria di Giovanni e il 20 marzo 2010 hanno partecipato, a Milano, alla Giornata della Memoria e dell’Impegno, promossa da Libera, portando  in corteo due striscioni, uno con il nome e l’altro con la foto di Giovanni.

  • E ogni anno, in tutte le piazze d’Italia dove viene celebrata la giornata della memoria,  il nome di Giovanni Spampinato viene menzionato assieme a quello di centinaia di vittime della mafia.

Vedi anche:

https://giovannispampinato.it/index.php/ultime-notizie/142-don-ciotti