Chi è giornalista e chi proprio non lo è

da L’UNITA’ – SABATO 9 OTTOBRE 2010

C’è chi ha la schiena dritta e chi addomestica le parole,
c’è chi rischia la vita e chi chiede permesso ai potenti

Non ci sono mestieri immacolati a prescindere da chi li eserciti. Ci siamo battuti per molti mesi per evitare che una legge liberticida finisse per imbavagliare i giornalisti e per sottrarre agli italiani il diritto a una stampa libera di informare e di scrivere. È stata una battaglia di principio e di verità: ma nulla toglie al fatto che molti giornalisti occupino abusivamente questa professione. Scegliendo di addomesticare le parole, di metterle al servizio di un padrone, di manipolare i fatti per rendergli un buon servigio.
Succede. E succede spesso. Il caso del direttore e del suo vice al Giornale, sorpresi a organizzare dossieraggi contro la signora Marcegaglia per punirla delle sue opinioni, sono una storia miserabile ma non isolata. Ve lo ricordate l’agente “Betulla”? Renato Farina, vicedirettore di Libero, l’altro foglio della vandea berlusconiana.Quando a Milano cominciarono a indagare sul rapimento di Abu Omar e su quanto si fossero adoperati i servizi italiani per ben figurare di fronte alla Cia, Libero fu tra quei giornali (non pochi, per la verità) che presero le difese dei nostri servizi deviati e cominciarono a far le pulci all’inchiesta e ai magistrati che la istruivano. Fino alla geniale invenzione di una falsa intervista che il generale Pollari, capo del Sismi, commissionò al suddetto Farina per estorcere qualche informazione ai magistrati. Il gioco non riuscì, Farina fu smascherato, reo confesso («… ammetto i rapporti intrattenuti con uomini del Sismi in qualità di informatore, ammetto di avere accettato rimborsi dal Sismi, ammetto di aver intervistato i Pm Spataro e Pomarici per carpire informazioni da trasmettere al Sismi…»), condannato a sei mesi di reclusione per favoreggiamento e radiato dall’Ordine dei giornalisti.
Oggi Farina è non fa più il giornalista ma in compenso è diventato deputato: il partito di Berlusconi lo ha ricompensato con un seggio alla Camera. Quando entra in Parlamento, il picchetto di guardia scatta sull’attenti, i commessi lo chiamano benevolmente onorevole, dal suo scranno di Montecitorio fa e disfa le leggi dello Stato. Insomma, un padre della patria. Aver venduto il proprio mestiere di giornalista gli ha portato onori e carriera.

Non c’è onestà a prescindere nel mestiere di giornalista. C’è chi si vende e chi no, chi tiene la schiena dritta e chi la piega a compasso quando sente odore di potenti. In questo, fatta ammenda per i sei mesi di galera patteggiati con il tribunale, non vedo molta differenza tra le false interviste di Farina per conto del Sismi, i dossier del Giornale contro la Marcegaglia e i titoli di testa serali del Tg1 di Minzolini. In tutti questi casi non si tratta di giornalismo ma d’altro. Porro, Minzolini, Farina sono oggettivamente fuori da questo mestiere perché si sono chiamati fuori loro, a prescindere dalle scomuniche e dalle condanne.

Quando a Palermo ammazzarono Mario Francese, cronista di punta del Giornale di Sicilia, i giudici mandarono chiamare il suo dirimpettaio di scrivania che era un vecchio cronista di giudiziaria, uno di quelli che s’incontravano una volta elle redazioni: non scrivevano mai una riga ma portavano sui tavoli della cronaca i mattinali di questura e i riepiloghi di tutti i processi. Informavano, insomma. Solo che il personaggio in questione, che si chiamava Pippo Montaperto, informava anche i capimafia della città: Mimmo Teresi, Stefano Bontate… di uno era stato compare di nozze, con l’altro giocava a pallone, si conoscevano da ragazzi e avevano continuato a frequentarsi anche quando Montaperto si era messo a fare il cronista e i suoi amici s’erano messi a fare i mafiosi.

Quando processarono gli assassini di Francese, tutti illustrissimi componenti della cupola di Cosa Nostra, i giudici mandarono a chiamare Montaperto e gli chiesero com’era possibile che mentre la mafia condannava a morte il suo collega lui aveva continuato a frequentare quei boss. Montaperto non si fece pregare. «Lei non ci crederà, signor giudice, ma i mafiosi veri sono persone in apparenza squisitissime: escono, vanno a fare quello che devono fare, tornano a casa e sorridono».

Ci sono cose che con questo mestiere non hanno nulla a che fare: non solo le menzogne, non solo le reticenze. Come accadeva al vecchio cronista Montaperto, anche Farina, Porro e Minzolini prima di scrivere devono chieder permesso a qualcuno. Credetemi, basta questo.

Claudio Fava