Chi è giornalista e chi proprio non lo è

da L’UNITA’ – SABATO 9 OTTOBRE 2010

C’è chi ha la schiena dritta e chi addomestica le parole,
c’è chi rischia la vita e chi chiede permesso ai potenti

Non ci sono mestieri immacolati a prescindere da chi li eserciti. Ci siamo battuti per molti mesi per evitare che una legge liberticida finisse per imbavagliare i giornalisti e per sottrarre agli italiani il diritto a una stampa libera di informare e di scrivere. È stata una battaglia di principio e di verità: ma nulla toglie al fatto che molti giornalisti occupino abusivamente questa professione. Scegliendo di addomesticare le parole, di metterle al servizio di un padrone, di manipolare i fatti per rendergli un buon servigio.
Succede. E succede spesso. Il caso del direttore e del suo vice al Giornale, sorpresi a organizzare dossieraggi contro la signora Marcegaglia per punirla delle sue opinioni, sono una storia miserabile ma non isolata. Ve lo ricordate l’agente “Betulla”? Renato Farina, vicedirettore di Libero, l’altro foglio della vandea berlusconiana. Continua a leggere

GIANCARLO SIANI : L’amara lezione che non riusciamo ad apprendere dopo 25 anni

Non lasciare solo chi si spinge più avanti

di Alberto Spampinato*

Giancarlo Siani aveva appena compiuto 26 anni ed era già un cronista di valore. Aveva imparato molte cose in quello straordinario laboratorio-rivista che fu negli Anni Ottanta, l’ ”Osservatorio per la camorra” diretto da Amato Lamberti. Poi era passato al “Mattino”, come collaboratore della redazione di Torre Annunziata. Era un precario, ma si era fatto valere con clamorosi scoop sulle indagini contro la camorra. Nel 1985, lo avevano trasferito alla redazione di Napoli e  attendeva di essere assunto da una settimana all’altra con un regolare contratto da giornalista. Invece 1l 23 settembre fu assassinato a Napoli, mentre tornava a casa, al Vomero. Il boss Lorenzo Nuvoletta non tollerava che avesse rivelato i suoi misfatti e i suoi legami con i corleonesi di Totò Riina.

L’orribile fine di questo giovane cronista sarà ricordata giovedì a Napoli nell’anniversario della morte con la celebrazione del Premio intitolato al suo nome. Giancarlo era un ”ragazzo del ’77”. Si sarebbe fatto strada nella professione che aveva scelto. In questi giorni compirebbe 51 anni. L’anniversario della sua barbara eliminazione  ripropone una questione che è sotto i nostri occhi e che ci ostiniamo, ancora oggi, a non vedere, nonostante da allora tanti altri giornalisti siano entrati nel mirino di mafie e camorre: anche nella civilissima Italia – e non solo in Paesi lontani, in democrazie giovani o incerte, in Turchia o in Russia – si ricorre a minacce, intimidazioni, e perfino all’omicidio per impedire ai giornalisti di fare il loro mestiere che, fino a prova contraria, consiste nel trovare notizie e pubblicarle. Avviene tutto ciò, in Italia, ma purtroppo ancora non si riesce ad ammetterlo e a trarne le conseguenze. E intanto ciò che sembra impossibile continua ad accadere intorno a noi. Continua a leggere

Milano. Giornata in memoria dei giornalisti uccisi in Italia

Milano, 1 maggio 2010 – Si celebrerà il prossimo 3 maggio, a Milano, la Terza  Giornata della memoria dei giornalisti uccisi dalle mafie e dal terrorismo nel dopoguerra in Italia. Interverranno le autorità locali, i dirigenti degli enti del giornalismo e, nella ricorrenza del 30/mo anniversario della uccisione di  Walter Tobagi, la figlia Benedetta. Seguiranno testimonianze dei familiari dei cronisti uccisi. La manifestazione  si svolgerà dalle 10,30 alle 12 nell’Auditorium Giorgio Gaber del Grattacielo Pirelli, sede della Regione Lombardia. Continua a leggere

Rapporto UNESCO: E’ strage di giornalisti nei paesi in pace

Rapporto UNESCO: La strage dei giornalisti si compie nei paesi in pace

L’allarme riguarda l’Italia e l’Europa ma Tg e quotidiani non ne parlano.

di Alberto Spampinato – direttore di Ossigeno per l’informazione
(dal settimanale Left in edicola venerdì 23 aprile 2010)

ROMA, 23 apr 2010 – I giornalisti rischiano, subiscono intimidazioni e violenze. I giornalisti muoiono. Ne sono stati uccisi 125 nel mondo negli ultimi due anni, e solo la minima parte erano corrispondenti di guerra, dice un rapporto dell’UNESCO che segnala una condizione di pericolosità crescente per il lavoro di cronaca. Fare questo lavoro, dice il rapporto  è difficile, in Italia e nel mondo. E’ particolarmente rischioso per i “corrispondenti di pace”, cioè per quei cronisti che lavorano in paesi come il nostro, in cui non c’è la guerra, e si ostinano a raccogliere le notizie sul campo, a guardare le cose senza paraocchi, a giudicare i fatti con la propria testa.  E’ rischioso raccontare i fatti senza fermarsi alla versione ufficiale o a quella che fa più comodo a qualcuno che conta. E’ rischioso descrivere i poco edificanti retroscena dei piccoli e grandi affari. E’ rischioso descrivere compromettenti comportamenti del potere politico ed economico, e ancor più interessi, pressioni, complicità e condizionamenti della criminalità organizzata. Rischia chiunque parla di queste cose invece di osservare il prudente silenzio di altri giornalisti. Il rapporto dell’Unesco dice che chi lavora così, anche si trova a Palermo, a Reggio Calabria, a Roma o a Città del Messico, rischia la vita più di un giornalista di guerra.

La situazione è questa, anche se giornali e televisione raramente parlano di queste cose. E’ così. Lo attestano da anni gli osservatori specializzati, preoccupati da una deriva di violenza crescente nei confronti dei giornalisti, una deriva che produce l’oscuramento delle notizie più incisive, e la loro sostituzione con le inoffensive (e inutili) soft-news: il gossip, il pettegolezzo, i consigli per il bricolage, e cos’ via. Le diagnosi dei centri di monitoraggio internazionali sono regolarmente cestinate. Perciò non c’è da stupirsi se è passato sotto silenzio questo clamoroso rapporto dell’UNESCO sui giornalisti uccisi e minacciati nel mondo, e non è stato ascoltato neppure  il forte allarme per la sicurezza dei giornalisti nei paesi europei lanciato dal commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa.
La violenza contro i giornalisti “ficcanaso”, conferma il rapporto UNESCO, pubblicato a Parigi il 25 marzo,  dilaga per due motivi principali: un’insufficiente prevenzione, e la sostanziale “impunità” concessa ai loro aggressori.  I 125 giornalisti uccisi nel 2008-2009 risultano tre più del biennio precedente. Solo una piccola parte di essi lavorava in paesi in guerra. Il rapporto dice quanto sia difficile ottenere giustizia per queste vittime, e sottolinea un fatto che dovrebbe essere evidente, ma non lo è nella percezione comune: i giornalisti uccisi sono solo “la punta dell’ iceberg”. Sotto quella punta, si nasconde una enorme massa sommersa della quale fanno parte migliaia di sconosciuti giornalisti locali di paesi pacifici come l’Italia, la Francia, la Germania. Sono quei giornalisti che lavorano come si diceva prima, e perciò subiscono intimidazioni, minacce, danneggiamenti, rappresaglie che raramente fanno notizia. Formalmente nei paesi in cui accadono queste cose vige la piena libertà di stampa ma, osserva l’UNESCO, in realtà non c’è vera libertà di stampa, “perché l’assenza di minacce è una condizione essenziale perché si possa esercitare il diritto dei cittadini ad avere una informazione attendibile e il diritto dei giornalisti a fornirla senza timore per la propria sicurezza”.
Si deve tenere presente che “l’assassinio dei giornalisti è solo il più grave degli attacchi alla libertà di stampa, che gli informatori di professione  – si legge nel rapporto presentato a Parigi – devono fare fronte a molte altre forme di minacce, quali intimidazioni, rapimenti, molestie, e aggressioni fisiche, come hanno fatto notare le istituzioni professionali dei giornalisti e i centri per la libertà di stampa, con i quali l’UNESCO ha rapporti ufficiali, come Reporters Sans Frontieres, il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ) e la Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ). Sono stati anche segnalati attacchi alle organizzazioni dei media e iniziative per distruggere la loro proprietà”.
E’ utile ricordare che l’UNESCO non è un soggetto di parte, ma l’agenzia delle Nazioni Unite incaricata di difendere il principio della libertà di stampa e di espressione sancito dalla Carta di San Francisco, e fra le sue finalità c’è quelle di “raccomandare accordi internazionali necessari a promuovere il libero flusso delle idee attraverso la parola e l’immagine”. L’UNESCO parla perciò sulla base di rilevazioni attendibili, di relazioni con i governi le istituzioni nazionali dei Paesi membri, con indiscutibile autorevolezza e spirito super partes. L’Agenzia ha cominciato a occuparsi specificamente dell’uccisione dei giornalisti nel 1997, e ha chiesto ai governi di tutto il mondo di non concedere alcuna attenuante  agli autori di delitti contro la persona commessi per impedire la libertà di espressione e il diritto dei cittadini di essere informati. L’Agenzia allo stesso tempo ha invitato le autorità competenti dei vari paesi ad “prevenire, indagare e punire tali delitti, e  rimediare alle loro conseguenze”. Da allora l’UNESCO pubblica ogni due anni la lista dei giornalisti uccisi nel mondo e un rapporto sulle risposte ottenute dai singoli paesi riguardo all’iter della giustizia per ciascuna delle vittime. L’ultimo rapporto, relativo al 2008-2009, pubblicato il 25 marzo scorso, contiene l’allarme a cui abbiano accennato.
Anche il Consiglio d’Europa ha da tempo acceso i riflettori sulle limitazioni della libertà di stampa nei paesi membri. Nei giorni scorsi il Commissario dei diritti umani Thomas Hammarberg ha annunciato nuove iniziative a seguito di “preoccupanti violazioni della libertà d’espressione”. Ha inoltre stigmatizzato il fatto che i giornalisti siano spesso vittime di intimidazioni, di violenze e perfino di omicidio. Hammarberg ha anche criticato il fatto che  la diffamazione in alcuni paesi , fra i quali l’Italia, sia ancora un reato penale.
Insomma, il Consiglio d’Europa e l’Unesco smentiscono convinzioni radicate sull’effettiva garanzia concessa alla libertà di stampa e sui rischi a cui sono sottoposti i giornalisti. E’ strano che queste considerazioni non destino attenzione, soprattutto in Italia, dove il problema si presenta con una particolare gravità, con cronisti e scrittori costretti a vivere sotto scorta e con altre centinaia di cronisti minacciati, come segnalano da tempo l’osservatorio Ossigeno, Freedom House e Reporters Sans Frontieres. Per destare l’attenzione, il 3 maggio prossimo, per iniziativa del direttore generale dell’UNESCO, Irina Bokova,  si proverà ad accendere l’attenzione in tutte le sale stampa del mondo, osservando un minuto di silenzio in memoria dei giornalisti uccisi.

NELLE FILIPPINE UCCISI 30 IN UN COLPO

L’assenza di minacce ai giornalisti è la condizione “essenziale per tutelare il diritto dei cittadini ad avere informazioni attendibili, e per proteggere allo stesso tempo il diritto dei giornalisti di fornirle senza timore per la loro sicurezza personale”, si legge nel rapporto UNESCO – IPDC (Programma Internazionale per lo Sviluppo delle Comunicazioni) pubblicato a Parigi il 25 marzo scorso.

Il documento parte dalla constatazione che, nonostante il conflitto iracheno abbia superato la fase più cruenta e  in quel paese il numero di giornalisti uccisi sia diminuito del 73% (da 62 a 15),  quelli uccisi nel resto del mondo sono aumentati, ed anche il loro numero complessivo (125 nel biennio 2008-2009 rispetto a 122 del biennio precedente) . Nel bilancio pesa come un macigno l’agguato del 23 novembre 2009 nell’isola di Mindanao (Filippine)  nel quale furono massacrati trenta giornalisti al seguito di un candidato alla carica di governatore.  L’80% delle vittime elencate nel rapporto UNESCO non sono corrispondenti di guerra, ma corrispondenti locali di paesi in pace, cronisti che si occupavano di questioni di interesse locale, e sono stati uccisi  “da chi non voleva che i giornalisti indagassero e rivelassero informazioni di pubblico interesse”.
La percentuale di giornalisti uccisi in situazioni non legate a conflitti in corso, sottolinea il Rapporto, è considerevolmente aumentata nell’ultimo biennio Purtroppo, osserva l’UNESCO, “gli atti di violenza contro i giornalisti sono in aumento; nella maggior parte dei casi, l’impunità blocca il corso della giustizia e, se prevarrà questa tendenza, i giornalisti resteranno facili bersagli. Inutile dire che  ciò rappresenta una seria minaccia alla libertà di espressione ed alla nostra capacità di conoscere la verità” .

Leggi il Rapporto UNESCO http://portal.unesco.org/ci/en/files/29600/12690062213safety_of_journalists_27_session.pdf/safety_of_journalists_27_session.pdf

Su Ilaria Alpi una verità irraggiungibile

Roma, 23 aprile 2010 – A sedici anni dalla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, la giornalista e l’operatore del Tg3 Rai uccisi a Mogadiscio, l’Associazione Ilaria Alpi chiede “verità e giustizia con un appello al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, alla magistratura, alla politica e a tutti gli italiani per individuare i mandanti e gli esecutori del duplice omicidio.

“Dopo sedici anni, lunghissimi e dolorosi – si legge nell’appello dell’Associazione – si sa quasi tutto di quel che accadde quella domenica di marzo e perché. Si sa che fu un’esecuzione, come ha scritto lo scorso 17 marzo, il Gip Emanuele Cersosimo del Tribunale di Roma nel respingere la richiesta di archiviazione: “un omicidio su commissione, organizzato per impedire che le notizie raccolte da Ilaria Alpi e Miran Hrovatin su traffici di armi e di rifiuti tossici, venissero portate a conoscenza dell’opinione pubblica”. Continua a leggere