Ossigeno e i giornalisti minacciati in Italia

Centinaia di giornalisti italiani che raccontano notizie sgradite al potere, a personaggi potenti, a violenti e criminali subiscono gravi abusi: aggressioni, minacce, intimidazioni, isolamento, querele pretestuosi. Raramente se ne parla sui giornali. Ma il fenomeno è molto esteso, quasi in tutte le regioni, ed è una delle cause per cui in Italia l’informazione giornalistica è solo parzialmente libera, come ha certificato Freedom House, uno dei più autorevoli istituti che verificano lo stato della libertà di stampa nei vari paesi.

Ossigeno per l’Informazione, l’osservatorio promosso dalla FNSI, ispirato alla storia di Giovanni Spampinato, racconta le loro storie che portano sulle tracce dei piccoli e grandi scandali italiani, alle verità che restano nascoste perché raccontarle è rischioso, anche per i giornalisti. Chi sono. Cosa hanno scritto. Perché in Italia il lavoro dei cronisti è diventato più rischioso che negli altri paesi.

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Ferrara: intimidazione giudiziaria a cronisti che non rivelano le fonti

Ferrara, 27 mag 2011 – I cronisti giudiziari de “la Nuova Ferrara ” e “Resto del Carlino” sono stati ascoltati come testimoni in merito ad una presunta fuga di notizie sui casi che riguardano la procura di Ferrara e il procuratore capo Rosario Minna nell’ambito di procedimenti pendenti al Csm che lo riguardano personalmente. Di fronte alla richiesta di svelare le proprie fonti, i giornalisti hanno opposto il segreto professionale. Continua a leggere

Agguato a Belpietro: violenza e solidarietà nel nostro paese smemorato

 Una boccata d’ossigeno – La rubrica di Alberto Spampinato

 di Alberto Spampinato. Direttore di Ossigeno per l’informazione, osservatorio della FNSI e dell’Ordine dei Giornalisti sui cronisti minacciati e le notizie oscurate con la violenza

belpietro4 ottobre 2010 – Innanzitutto rinnovo la solidarietà al direttore di Libero, Maurizio Belpietro, un giornalista che esprime le sue opinioni senza peli sulla lingua, che svolge inchieste e racconta i fatti senza curarsi di compiacere chi non la pensa come lui, anzi compiacendosi di fargli le bucce e di coglierlo in castagna. Questo giornalista testardo e coraggioso, da otto anni vive sotto scorta. Spesso non mi trovo d’accordo con le posizioni del direttore di Libero, ma ciò non toglie nulla alla stima professionale e alla considerazione umana che ho per lui. Le sue argomentazioni e i fatti che racconta, spesso mi lasciano perplesso, ma mi aiutano a capire, e per un giornalista i fatti sono la cosa più seria, quando sono presentati con tutte le etichette a posto, ovvero spiegando qual è la fonte e permettendo al lettore di valutare il grado di attendibilità. Dunque a Belpietro rivolgo senz’altro le parole di Voltaire: “Non condivido per nulla le tue idee, ma mi farei uccidere perché tu le possa manifestare”. Ebbene,la notte del 30 settembre scorso, Belpietro s’è preso una bella paura. Era rincasato accompagnato dalla sua scorta, si era appena chiuso l’uscio di casa dietro le spalle, quando ha sentito tre colpi di pistola…

Giornalisti, cosa dice il nuovo Rapporto Ossigeno sui cronisti minacciati

Chi sono, come proteggerli

Napoli, 23 settembre 2010 – Il primo dato del nuovo rapporto dell’osservatorio Ossigeno per l’informazione dice chesono raddoppiati nell’ultimo anno le minacce a giornalisti italiani. Quelli coinvolti in episodi di “censura violenta” e gravi intimidazioni sono stati nel 2009-2010 circa 400. I casi elencati nel rapporto con nomi e cognomi sono 53, ai quali se ne devono aggiungere altri 15 verificatisi negli ultimi sei mesi. Dei 53 censiti nel Rapporto, ha detto Alberto Spampinato, direttore del Rapporto Ossigeno, durante la presentazione a Napoli, giovedì 23 settembre 2020, “29 riguardano minacce individuali (nei confronti di un singolo giornalista) e 24 sono minacce collettive. Alcune di queste ultime sono rivolte a intere redazioni,  e ciò ci fa stimare in circa 400 i giornalisti coinvolti. Non sono pochi. Sono più dei componenti del Senato della Repubblica. E’ come se ogni comunità di 150 mila abitanti avesse un giornalista minacciato. Quattrocento non sono pochi, ma in realtà i minacciati sono ancora di più. Il fenomeno è molto esteso’’.

Leggi di seguito le notizie e nel link qui sotto la relazione integrale di Alberto Spampinato

https://giovannispampinato.it/index.php/abbiamoletto/160-giornalisti-minacciati-il-rapporto-ossigeno-2010

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I nomi dei giornalisti minacciati in Italia nel Rapporto Ossigeno

 La relazione di Alberto Spampinato,direttore di Ossigeno per l’Informazione, al convegno sui cronisti minacciati, promosso dal Premio Siani, durante il quale è stato presentato il RAPPORTO OSSIGENO 2010

Napoli, 23 settembre 2010 – Il secondo Rapporto annuale di Ossigeno che ho l’onore di presentare al Premio Giancarlo Siani illumina un fenomeno preoccupante, poco conosciuto e sempre più diffuso benché sia già molto esteso, anche nel nostro paese. Si tratta della censura violenta realizzata con minacce, intimidazioni, danneggiamenti, intrusioni, ed anche azioni giudiziarie pretestuose che ostacolano e limitano la libertà di cronaca. Per attuare questa forma estrema di censura, in Italia, dal 1960 al 1993 sono stati uccisi undici giornalisti che ostinatamente, coraggiosamente non volevano farsi tappare la bocca. Uno di loro era Giancarlo Siani, un brillante giornalista di 26 anni. Fu abbattuto come un toro inferocito una sera di 25 anni, a Napoli, mentre ritornava a casa, proprio dalla redazione del Mattino, dopo una giornata di lavoro. Per i camorristi suoi assassini, Giancarlo meritava la morte per aver pubblicato notizie a loro sgradite. Tre mesi prima infatti rivelato un patto segreto stipulato fra i camorristi del clan Nuvoletta e i mafiosi corleonesi di Totò Riina. Solo Giancarlo aveva scritto quelle notizia.  Solo lui aveva l’ardire di mettere in piazza i segreti dei boss, danneggiandoli. Al giornale era stato lodato per lo scoop. Era stato “promosso” con uno spostamento dalla redazione distaccata di Castellammare di Stabia, dove era il corrispondente da Torre Annunziata, alla redazione centrale di Napoli. Adesso, gli avevano consigliato alcuni colleghi, lascia perdere quelle storie che fanno inferocire i camorristi. “Chi te lo fa fare?”, gli dicevano. E’ la vicenda raccontata nel film di marco Risi “FortApasc”. Giancarlo non ascoltò quel consiglio, continuò a raccogliere informazioni delicate, quelle che altri scansavano o fingevano di non sapere, e continuò a scrivere notizie sgradite. Il suo fiuto e la sua concezione del giornalismo non gli permettevano di agire diversamente. Non riuscì a girare la testa dall’altra parte, a mettersi al riparo neppure quando ormai il pericolo era nell’aria ed egli provava paura. In questo, Giancarlo si comportò esattamente come gli altri dieci giornalisti uccisi in Italia: ognuno di loro fu ammazzato perché, nonostante avvertisse la paura, era risoluto ad andare avanti, e non c’era altro modo di fermarlo. Ho riflettuto molto su queste dinamiche, perché uno di quei testardi era mio fratello. Si chiamava Giovanni. Gli altri si chiamavano Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Mario Francese, Pippo Fava, Peppino Impastato, Beppe Alfano, Mauro Rostagno,  Carlo Casalegno, Walter Tobagi. Mi piace ricordare qui i loro nomi insieme a quello di Giancarlo e di Giovanni e rendere omaggio anche alla loro memoria.

Dal 1993, in Italia non sono stati uccisi altri giornalisti. Ma le violenze non sono cessate. Risulta da molte notizie sparse e lo conferma il Rapporto Ossigeno 2010 che, con l’elencazione dei fatti più recenti, smentisce il luogo comune secondo il quale, per i giornalisti, il nostro sia un paese tranquillo. Non è affatto così. Il nostro Rapporto dimostra che nel  2009 e nel 2010 in Italia centinaia di giornalisti hanno subito gravi minacce, intimidazioni, danneggiamenti, pressioni indebite ed altre violenze esercitate per limitare il loro diritto di raccogliere notizie nell’interesse dell’opinione pubblica e di pubblicarle. Gli episodi da noi accertati, nel periodo gennaio 2009-marzo 2010, sono 53. Di essi, 29 riguardano minacce individuali (nei confronti di un singolo giornalista) e 24 sono minacce collettive. Alcune di queste ultime sono rivolte a intere redazioni,  e ciò ci fa stimare in circa 400 i giornalisti coinvolti. Non sono pochi. Sono più dei componenti del Senato della Repubblica. E’ come se ogni comunità di 150 mila abitanti avesse un giornalista minacciato. Quattrocento non sono pochi, ma in realtà i minacciati sono ancora di più. Il fenomeno è molto esteso. Noi stessi non abbiamo inserito tutti i casi che ci sono stati segnalati, ma solo quelli che siamo stati in grado di èerificare. Inoltre, una cosa è ciò che si vede, un’altra la dimensione effettiva del fenomeno, poiché molti casi non vengono denunciati. Lo sottolinea il recente rapporto biennale dell’UNESCO. Ciò che vediamo e possiamo misurare, l’insieme delle minacce DENUNCIATE e degli omicidi consumati, ci ricorda l’agenzia dell’ONU che sorveglia la libertà di informazione nel mondo, ma questa è solo la parte emergente di un fenomeno in gran parte nascosto, “la punta dell’iceberg”, la cui parte sommersa è molto più grande.

DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA – Ma dove accadono cose così terribili? E’ opinione comune che possano accadere solo nei paesi in cui la democrazia è debole e incerta o, nei paesi come il nostro, solo nelle terre in cui la criminalità mafiosa è più radicata. Non è proprio così. Anche se è vero che – con 23 episodi, di cui 15 nel corrente anno – la Calabria guida la classifica italiana con una situazione estremamente allarmante, a cui tutti dovremmo prestare più attenzione e riservare più solidarietà e più capacità di iniziativa. E’ vero che Sicilia e Campania occupano in graduatoria posti di tutto rispetto. Ma la nostra casistica dice che le minacce ai giornalisti sono diffuse un po’ in tutte le regioni, dal Veneto alla Lombardia, al Lazio. Questi sono i dati (il primo numero indica i casi inseriti nel Rapporto 2010, il numero dopo il “+” i casi di cui siamo venuti a conoscenza dopo la chiusura del Rapporto, il numero fra parentesi il dato trattato dal Rapporto Ossigeno 2009): Calabria  8+7 (8), Sicilia 4+2, Campania 6, Lazio 9+1, Lombardia 6, Puglia 3, Basilicata 2 , Piemonte 2, Emilia Romagna 1

RAFFRONTO CON IL 2009  – Un anno fa, il  precedente Rapporto, Ossigeno segnalò 61 episodi nell’arco di un  triennio (2006-2008), con una media di 20 minacce l’anno. I 43 episodi di questo nuovo Rapporto segnano dunque un aumento del 100 %. L’aumento è ancora più alto per le minacce collettive, cioè indirizzate a gruppi di giornalisti o a intere redazioni: nel 2009 avevamo contato 9 episodi e stimato almeno duecento giornalisti coinvolti, adesso gli episodi sono 24  (+250%) e i giornalisti coinvolti sono il doppio (+100%).

Il nuovo Rapporto conferma l’allarme da noi lanciato un anno fa, a proposito di una escalation in atto. Era pienamente giustificato. Anche autorevoli centri internazionali di monitoraggio (Freedom House, Reporters Sans Frontieres, ed altri avevano segnalato con preoccupazione il forte condizionamento della libertà di informazione che si realizza in Italia con la violenza contro i giornalisti. Ma nessuno aveva previsto una progressione così veloce. Speriamo che il nostro lavoro aiuti ad avere consapevolezza di ciò che sta avvenendo. Si può restare stupiti, increduli di fronte ai dati che presentiamo, ma è difficile contestarli, ed è con essi che dobbiamo fare i conti. Il nostro Rapporto elenca casi verificabili, nomi, cognomi, circostanze di ogni episodio e fa capire quali rischi corrono i  giornalisti italiani mentre cercano le notizie più delicate e scomode, quelle sgradite a centri di potere criminale, soprattutto alla criminalità organizzata, e a potentati di altro genere. Il Rapporto formula, inoltre, alcune proposte per ridurre i rischi a cui sono esposti i cronisti e indica alcuni temi che meriterebbero un’attenzione e un approfondimento che finora sono mancati.

Noi pensiamo che un intralcio al diritto di cronaca sistematico, qual è quello che si concretizza in Italia con le molteplici minacce ai giornalisti,  determini un esteso oscuramento dell’informazione, con la scomparsa di notizie di grande rilievo sociale, e  perciò le minacce compromettono la completezza dell’informazione, indeboliscono il diritto dei cittadini di essere informati e, in definitiva, riducono gli spazi della democrazia. Ciò è chiaro a numerosi osservatori stranieri  che da tempo tengono d’occhio il caso italiano. Invece nel nostro paese il fenomeno è del tutto trascurato.

Il mondo politico non se ne occupa, le istituzioni dei giornalisti lo sottovalutano e la società civile lo ignora. Il problema è avvolto in una nube di indifferenza che lo nasconde, che non ha giustificazione alcuna in un paese democratico che vanta di essere la culla del diritto ed è uno dei fondatore di quella comunità avanzati dei diritti di cui l’Unione Europea è presidio con le sue alte istituzioni. In questo assordante silenzio, in Italia centinaia di giornalisti, e i loro giornali, si trovano esposti senza speciali protezioni a condizionamenti e minacce gravi e ricorrenti.

Non si dovrebbero tacere queste cose. Non si dovrebbero lasciare soli i singoli cronisti di fronte a un problema così grande. Non è degno di una società civile. Anche perché la disattenzione pubblica incoraggia comportamenti negativi. Ad esempio, incoraggia chi per paura o per opportunismo, invece di mettersi al fianco di un onesto giornalista minacciato, invece di circondarlo di solidarietà, lo irride con una domanda cinica molto ricorrente: “Ma chi te lo fa fare?”. Purtroppo anche molti giornalisti dicono questa frase. Alcuni lo fanno per leggerezza, e bisogna solo aiutarli a capire come stanno le cose. Altri invece “Chi te lo fa fare?” lo dicono con furbizia e malizia, con l’aria saputa di chi conosce il mondo e indicano l’autocensura come il modo migliore di prevenire le minacce. L’autocensura, in realtà , è l’antitesi del giornalismo, ma costoro la vantano apertamente come un “trucco” del mestiere. Ma di quale mestiere?, vorrei chiedere. Nascondere le informazioni, fare la raccolta differenziata delle notizie, farsi guidare dalla paura, guardare i fatti con i paraocchi o con gli occhi del più forte: queste cose non hanno niente a che fare con il giornalismo, non si conciliano con i doveri dei giornalisti .

Ciò era vero ai tempi di Cosimo Cristina, ucciso a Termini Imerese nel 1960 per le sue coraggiose inchieste sugli intrecci fra mafia e politica. Era vero nel 1972 quando fu ucciso Giovanni Spampinato. Era vero nel 1985, quando fu ucciso Giancarlo Siani. Era vero ed era difficile affermarlo. E’ vero anche oggi e forse è altrettanto difficile, duole dirlo, vedere queste regole elementari  pacificamente accettate.  Ma noi non potremmo onorare la memoria di Giancarlo e di tutti i valorosi giornalisti uccisi in Italia senza riaffermare questa verità, senza denunciare l’irrisione dei pavidi e il fatalismo di chi, di fronte al triste stato di fatto di gran parte del giornalismo italiano, di fronte a una strage di principi e di diritti che grida vendetta, pensa che l’unica cosa da fare sia omologarsi al livello più basso, mettendo da parte impegno civile, concezioni ideali, etica e deontologia, in definitiva il proprio onore. Il giornalismo italiano soffre molti guai: precariato, mancanza di lavoro, mancanza di risorse, partigianerie… Ma niente di tutto ciò può giustificare l’apologia di comportamenti che con il giornalismo non hanno niente a che fare. Se si lasciano correre queste cose, Giancarlo Siani e tutti gli altri valorosi giornalisti alla cui memoria rendiamo onore anche oggi, non appariranno come giornalisti esemplari che pur di tenere la schiena dritta si sono fatti uccidere, che pur di scrivere notizie senza accettare imposizioni hanno dominato la paura e hanno accettato il rischio di essere uccisi. Appariranno soltanto dei pazzi suicidi che si sono ammazzati dando testate al muro, e non nascondiamoci che tali a volte si cerca di farli apparire. La storia di ognuno di loro dice ben altro, e dovremmo impegnarci di più per farlo sapere a tutti, soprattutto ai più giovani, soprattutto a chi vuole diventare giornalista. Anche perché ognuna di quelle storie ci riporta ai drammi di oggi, e ci aiuta a capirli.

FORME DI INTIMIDAZIONE – Dal 1993 in Italia non sono stati uccisi altri giornalisti. Ma si è continuato a fare ricorso a mezzi violenti e a pressioni indebite per mettere a tacere cronisti ed opinionisti, per intimidirli, per fermare inchieste, notizie, interpretazioni considerate sgradite. I metodi più praticati sono le lettere e le telefonate minatorie 19 +9 (17) a cui se ne devono aggiungere 2 via web: 2. Risultano anche  10 +3 (16) aggressioni fisiche e 9 +1 (8) le intrusioni, i danneggiamenti.

RISARCIMENTI IN DENARO – Si usano anche metodi più subdoli ma altrettanto efficaci: interventi sulla proprietà dei giornali, avvertimenti trasversali e allusivi che possono giungere per vie inaspettate, richieste pretestuose di  smentite. Cose che sfuggono a qualsiasi rilevazione. Poi ci sono, sempre più praticate, le citazioni presso il Tribunale civile per ottenere risarcimenti in denaro spropositati, senza alcuna commisurazione al danno subito e alle capacità economica del giornale e del giornalista citato, e senza che sia stata presentata una denuncia per diffamazione e che sia stato accertato il dolo in sede penale. Ne abbiamo censite 13+1 (8). Le più clamorose sono state promosse dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi contro la Repubblica, che insisteva a porgli dieci domande sul caso Noemi, e contro l’Unità, per la stessa vicenda. La richiesta era di un milione di euro. Un’altra è stata promossa contro il giornalista Rino Giacalone dal sindaco di Trapani, che ha chiesto 50 mila euro per un articolo molto critico sul suo operato.  Ha fatto sensazione anche la condanna in appello del Messaggero a risarcire con 2 milioni e 400 mila euro, e del critico musicale Alfredo Gasponi a risarcire a sua volta con 500 mila euro, gli orchestrali di Santa Cecilia per una intervista del 1996 in cui il direttore d’orchestra Wolfgang Sawallisch esprimeva giudizi poco lusinghieri.

PERQUISIZIONI INVASIVE – I cronisti giudiziari sono esposti a un altro genere di pesanti intimidazioni: a volte trovano sulla loro strada magistrati permalosi e risentiti per una fuga di notizia, magistrati che invece di prendersela con le fonti – spesso altri magistrati o funzionari pubblici tenuti a mantenere il segreto – se la prendono con i giornalisti, mettendoli sotto inchiesta, sottoponendoli a pressioni affinché rivelino le loro fonti confidenziali, colpendoli con perquisizioni invasive e  con il sequestro dei loro strumenti di lavoro e dei loro archivi. La legislazione italiana consente questi ed altri abusi dell’azione giudiziaria, che per fortuna sfociano quasi sempre in sentenze assolutorie. Nel Rapporto elenchiamo 13 +1 (15) casi del genere e segnaliamo il vuoto legislativo che c’è, a questo proposito nel nostro ordinamento, un vuoto da colmare. Si dovrebbe colmare. Nel paese in cui si è cercato di imporre la legge bavaglio, senza riuscirci a causa della imponente mobilitazione dei giornalisti e dell’opinione pubblica, noi osiamo chiederlo perché è una richiesta giusta e una misura necessaria. Come si potrebbe riempire questo vuoto? Un esempio da seguire ci viene proprio in queste settimane dalla  Germania Federale dove, per iniziativa della maggioranza di governo, il parlamento sta modificando il codice penale per affermare esplicitamente il fatto che un giornalista che pubblica una notizia riservata rivelata confidenzialmente da pubblici funzionari, magistrati, servizi segreti,  anche se si tratta di atti giudiziari o del testo di intercettazioni, non può essere perseguito legalmente dalla magistratura. In questi casi i giudici dovranno perseguire senza deroghe soltanto la “fonte” che ha violato il segreto. E’ una riforma di grande civiltà che farebbe bene al nostro paese.

UN’AGGRAVANTE – Noi pensiamo, e lo scriviamo nel Rapporto, che ci vorrebbe anche un’altra riforma legislativa per rafforzare la sicurezza dei giornalisti: dovrebbe esserci una aggravante specifica per tutti i reati commessi con la finalità di ostacolare il diritto di cronaca e per riflesso il diritto dei cittadini di essere informati. E’ una norma pienamente giustificata di fronte a un così diffuso e ricorrente ricorso a forme di violenza contro i giornalisti e contro la loro attività professionale.

REATO DI OSTACOLO ALL’INFORMAZIONE – Inoltre, a nostro avviso, si dovrebbe introdurre nel codice un nuovo reato, quello di ostacolo alla libera informazione, una norma positiva per rafforzare la difesa di un diritto sancito dalla Costituzione e dalla Carta fondamentale dei diritti europei, così ampiamente e impunemente violato.  Sappiamo che è difficile, che la strada maestra va in direzione opposta, verso la depenalizzazione di molti reati. Ma sarebbe utile aprire il dibattito sulla protezione legislativa dei giornalisti partendo proprio da questo punto, per approdare magari, a ragion veduta, a una sanzione di tipo civilistico. Il percorso che indico aiuterebbe a costruire la consapevolezza del problema presso l’opinione pubblica, e quindi ad avviare la soluzione legislativa. Farebbe capire come vanno le cose nel nostro e in altri paesi, e farebbe vedere chiaramente quali sono le falle da riparare. Vale ricordare che nel suo ultimo rapporto biennale, l’Unesco ha indicato fra le priorità quella di adeguare le legislazioni in modo da ridurre ‘’l’impunità’’ generalizzata di cui godono coloro che uccidono i giornalisti o esercitano altre forme di violenza nei loro confronti.  Se Ossigeno riuscirà ad andare avanti, raccoglierà su questi temi autorevoli opinioni e promuoverà un convegno ad hoc.

TUTELA LEGALE – Alla luce di queste considerazioni, inoltre, è evidente la necessita di offrire un servizio di assistenza legale ai giornalisti minacciati. Ma è altrettanto necessario trovare nuove forme di solidarietà per i giornalisti minacciati e trovare nelle redazioni modalità organizzative che rafforzino la sicurezza dei cronisti più esposti.

PROBLEMI DI OSSIGENO –  Come dicevo all’inizio, non abbiamo inserito nel Rapporto alcuni casi, probabilmente veri, che ci sono stati segnalati. Voglio spiegare perché: non siamo stati in grado di verificarli con il rigore che ci siamo imposti. Sarebbe stato necessario mandare in Sicilia, in Calabria o altrove inviati di fiducia. Non avevamo i mezzi per farlo. L’Osservatorio Ossigeno, purtroppo, ancora non dispone delle risorse per sostenere queste e altre spese inevitabili. Come spiega nell’intro-duzione il nostro direttore scientifico, Angelo Agostini, questo Rapporto, come il precedente, è stato realizzato capitalizzando l’impegno civile e la testardaggine di un gruppo di volontari che pur di procedere hanno provveduto personalmente alla copertura delle spese e che, dovendo di conseguenza limitare la loro attività, hanno scelto di privilegiare l’attendibilità dei contenuti rispetto all’ampiezza della descrizione.

META-RAPPORTO – A causa di queste limitazioni,  definiamo il documento di quest’anno un Rapporto a metà, un meta-rapporto, un documento a metà strada rispetto all’obbiettivo che ci eravamo posto. Ciò non toglie importanza alle rilevazioni che presentiamo e all’orgoglio con cui presentiamo un secondo Rapporto Ossigeno dopo quello, molto eloquente, del 2009

ARRIVEDERCI FORSE – Ci corre infine l’obbligo di dire che allo stato attuale non siamo in grado di garantire che nel 2011 riusciremo a produrre un Rapporto aggiornato. Le condizioni di incertezza e di precarietà di Ossigeno si sono già protratte troppo a lungo e hanno esaurito la spinta che ci ha portato fin qui.  Senza l’apporto di risorse fresche e qualche disponibilità finanziaria non potremmo fornire ancora un quadro serio ed attendibile. Lo abbiamo spiegato con franchezza ai vertici della FNSI e all’Ordine dei Giornalisti, che sono i promotori dell’Osservatorio, e che ringraziamo per avere avuto la sensibilità di istituire Ossigeno colmando un vuoto che si avvertiva da molti anni. Recentemente abbiamo avuto incoraggianti assicurazioni. Siamo fiduciosi che si possano tradurre presto in impegni concreti, in decisioni che diano all’osservatorio le gambe per camminare.

Napoli. Ossigeno presenta il secondo Rapporto annuale

Giovedì 24 settembre alle ore 10 a Napoli nella Sala Riunioni del “Mattino”, in Via Chiatamone 65, nell’ambito delle iniziative  per il Premio Giancarlo Siani, sarà presentato il secondo Rapporto annuale di “OSSIGENO per l’informazione”, osservatorio FNSI-Ordine dei Giornalisti sui cronisti minacciati in Italia.

Interverranno: Alberto Spampinato, direttore dell’Osservatorio, Roberto Natale, presidente della FNSI, Lirio Abbate, Arnaldo Capezzuto, Rosaria Capacchione.

Coordinerà Virman Cusenza, Direttore del “Mattino”.

 Alle 12.00, nella stessa sala,  a cura dell’Ordine dei Giornalisti della Campania, dell’Associazione napoletana della Stampa, dell’Università Suor Orsola Benincasa, del quotidiano “Il Mattino” e dell’Associazione Giancarlo Siani, sarà assegnato ai vincitori  il Premio Siani 2010.

Libertà di stampa: passi avanti a Berlino e in Islanda, e in Italia?

di Alberto Spampinato

Non è stata un’estate tranquilla per la politica, e neppure per la libertà di stampa. Numerosi giornalisti sono rimasti vittime di minacce, agguati, assassinii, decapitazioni, presunti “suicidi”. Fatti che fanno gelare il sangue. Per nostra fortuna, nelle stesse settimane ci hanno rallegrato alcune novità positive che fanno sperare una schiarita globale nel cielo dei diritti: una difesa  rafforzata del tanto vituperato diritto di cronaca e del diritto dei cittadini di essere informati correttamente e senza omissioni (anche sulle magagne del potere e dei potenti). Molti non se ne sono accorti, ma a Roma, a Berlino e perfino nella gelida Reykjavic ha cominciato a spirare un venticello caldo dei diritti davvero insperato, portatore di segnali incoraggianti che dobbiamo saper cogliere e incanalare nel modo giusto. Comincerò dalle novità più tristi e amare, per chiudere con quelle più dolci.

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http://www.narcomafie.it/2010/09/07/c%e2%80%99e-un-giudice-a-berlino-e-anche-a-reykjavic/

(10 sett 2010)

Piazza Fontana, Mister X e “Il segreto” di Cucchiarelli

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OSSIGENO per l’informazione
Osservatorio FNSI-Ordine dei Giornalisti
sui cronisti sotto scorta e le notizie oscurate in Italia con la violenza

di Alberto Spampinato

ROMA, 26 lug 2010 – Paolo Cucchiarelli è uno dei massimi esperti italiani di stragi, inchieste parlamentari e grandi misteri insoluti. Si occupa con continuità e competenza di queste cose da oltre trent’anni, ha al suo attivo vari scoop. Giornalista parlamentare dell’ANSA, è un mio compagno di lavoro e un vero archivio ambulante. Ve ne voglio parlare perché nei giorni scorsi questa persona tenacemente impegnata nella ricerca della verità, sulla cui correttezza nessuno ha mai potuto dubitare, è stata iscritta nel registro degli indagati per il reato di false informazioni al pubblico ministero. In pratica, Cucchiarelli, avvalendosi del segreto professionale che è previsto per i giornalisti dal Codice di Procedura Penale (art.200) ma solo fino a un certo punto, si è rifiutato di mettere a verbale il nome di una fonte confidenziale, un fascista che ha indicato come “Mister X”.

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IL CASO – L’iniziativa giudiziaria per la quale Cucchiarelli rischia quattro anni di carcere è del sostituto procuratore di Milano Armando Spataro che, esaminando gli elementi utili a riaprire l’inchiesta sulla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 (17 morti e 88 feriti e finora nessun colpevole), si è imbattuto nel ponderoso libro-inchiesta “Il segreto di Piazza Fontana”, (Ed. Ponte alle Grazie 2010, 700 pagine)  nel quale  Cucchiarelli, citando atti giudiziari, testimonianze storiche e nuovi elementi venuti a sua conoscenza, sviluppa la tesi delle due bombe, una buona e l’altra cattiva.

LE DUE BOMBE – Secondo questa tesi, il 12 dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell’Agricoltura esplosero due bombe di diversa matrice. La prima, era stata messa dagli anarchici a scopo dimostrativo, per causare danni, ma non vittime: un innesco a tempo doveva farla esplodere dopo la chiusura, quando gli uffici sarebbero stati deserti. La seconda bomba sarebbe stata piazzata nella sala contrattazioni della Banca ad insaputa degli anarchici, da terroristi di estrema destra, che volevano invece provocare l’eccidio e addossarne la colpa agli anarchici, e più in generale alla sinistra.

LE DUE MEZZE VERITA’ – E’ una tesi suggestiva, che fa tornare i conti di tante verità di segno opposto emerse nelle varie fasi delle indagini. Cucchiarelli la ricava, per un verso, da un’inchiesta condotta, insieme a Fiasconaro e D’Ambrosio, dal giudice Emilio Alessandrini, interrotta nel 1979 quando fu assassinato da terroristi di Prima Linea. Per altro verso, Cucchiarelli recupera l’altra mezza verità dall’ultima inchiesta condotta dalla procura di Milano, prima dal giudice  Salvini e poi dai giudice Meroni e Pradella. Dal 1993 a oggi, e soprattutto negli ultimi nove anni, il giornalista ha cercato le prove, le conferme che fanno capolino in vari atti processuali, ha raccolto testimonianze a viso aperto e anche le versioni di chi ha accettato di parlare a condizione di tenere celata la sua identità. E alla fine, da tutto ciò è venuto fuori il libro, una vera e propria controinchiesta che ha ottenuto molti apprezzamenti.

GIUDICI E GIORNALISTI –  E’ naturale che anche la magistratura abbia notato il gran lavoro di Cucchiarelli e voglia farne tesoro. Non è naturale che un magistrato faccia pressioni inaccettabili, al limite dell’intimidazione; che per conoscere il nome di chi ha ricostruito in modo diverso i fatti di quaranta anni fa metta sotto inchiesta un giornalista e insista perché riveli le sue fonti confidenziali. I giornalisti devono fare i giornalisti, come i magistrati devono fare i magistrati. Ci deve essere la massima collaborazione, ma nel rispetto dei ruoli e delle reciproche prerogative. Deve prevalere quell’applicazione intelligente dei codici, che finora, quasi sempre, ha prevalso nel nostro paese; ha permesso di  superare alcune incongruenze, che ci sono, fra le norme che tutelano l’indipendenza e l’autonomia dei giornalisti e quelle che difendono le esigenze superiori della giustizia. Chiedere a un giornalista di trasformarsi in un confidente, non va in questa direzione.

COSA DICE CUCCHIARELLI – “Questo episodio è certamente minimo – spiega Cucchiarelli – ma, al di là del fatto contingente, conferma una generale  confusione di ruoli e di rapporti tra magistratura e giornalisti con conseguenti fraintendimenti che a volte possono sfociare, come in questo caso, in un vero e proprio tentativo di intimidazione nei confronti di un giornalista che ha svolto una inchiesta  su un fronte non facile riempiendo, con il suo lavoro, un “vuoto”  che appartiene  proprio ai magistrati  di questa Repubblica. Quando il mio lavoro era ormai sistematizzato ho intervistato tre personaggi potenzialmente in grado di confermare la mia ipotesi, e cioè: il vice capo degli Affari Riservati, Russomanno, che ha confermato in pieno; il giudice Paolillo, che fu il primo ad indagare, per pochi giorni, sulla strage di Milano; e un fascista che ho chiamato “Mister X”. E’ stata una scelta obbligata. Questo signore, per rispondere alle domande che gli ho fatto nel tempo, ha posto come condizione di non essere citato, per la sua scarsa o nulla fiducia nei magistrati italiani. Mi rifiuto di rivelare il suo nome perché ho assunto l’impegno professionale e d’onore di non rivelarlo”.

PROTEGGERE I GIORNALISTI – Il caso Cucchiarelli ci sollecita ad approfondire la riflessione sul vuoto legislativo che c’è nel nostro paese, che a noi sembra evidente, in materia di protezione del diritto di cronaca. Un problema che si trascina da anni insoluto, che  si manifesta sempre più spesso e nel modo più drammatico, con i casi di cronisti minacciati con la violenza  o intimiditi da perquisizioni pervasive o ridotti sul lastrico da pretese di risarcimento che non hanno limiti né filtri e spesso hanno un evidente carattere intimidatorio e un effetto censorio. E’ il tema che affrontiamo nel nuovo rapporto di “Ossigeno per l’informazione”, che renderemo noto nelle prossime settimane.

 *cons. naz FNSI – direttore di Ossigeno per l’Informazione