Giovanni e la cronaca: E’ doveroso dire chiaramente come stanno le cose

Giovanni Spampinato concepiva il giornalismo come un servizio pubblico di informazione svolto dai giornalisti nell’interesse dei lettori, del loro diritto di essere informati con onestà e imparzialità dei fatti più rilevanti, anche a costo di contraddire versioni ufficiali e di comodo. Ha esposto questa convinzione in questo passaggio di un articolo:

…mentre molti, moltissimi, e tra questi anche persone vicine alla famiglia Campria, erano pronte a parlarne “in privato”, nessuno osava dirlo apertamente. L’Ora ha ritenuto non solo giusto, ma doveroso dire chiaramente queste cose, anche per provocare delle reazioni, perché fosse fugato ogni dubbio sulla magistratura, perché i cittadini tornassero ad avere fiducia nell’indipendenza di giudizio dei magistrati…

G.Spampinato su L’Ora, 3 agosto 1972

Delitto Tumino. Condannato giornalista Corriere della Sera

In una ampia ricostruzione del 2008, Paolo Di Stefano ha espresso i suoi dubbi sul’efficacia delle indagini sull’omicidio dell’ingegnere Angelo Tumino, ucciso nel 1972 a Ragusa, un oscuro delitto per il quale non è mai stato processato nessuno. L’ex procuratore della Repubblica Agostino Fera, che condusse le indagini sommarie, ha reagito. Condannato anche l’allora direttore del quotidiano Paolo Mieli. Anche il corrispondente del giornale L’Ora Giovanni Spampinato criticò quelle indagini. Fu ucciso qualche mese dopo da uno dei sospettati

OSSIGENO – MILANO, 23 Giugno 2012 – L’ingegner Angelo Tumino fu ucciso a Ragusa quarant’anni fa. Le indagini girarono a vuoto. Nel 1972 il cronista dell’Ora Giovanni Spampinato sollecitò più volte gli inquirenti, prima di essere assassinato da uno dei sospettati di quell’omicidio. Per il misterioso omicidio Tumino le indagini si sono sempre svolte a carico di ignoti e infine, qualche anno fa, l’inchiesta è stata archiviata con un nulla di fatto. Come si comportarono gli inquirenti? Paolo Di Stefano ha criticato il loro operato in un ampio reportage pubblicato il 1 giugno 2008 sul Corriere della Sera. Per quelle critiche è stato denunciato per diffamazione e nei giorni scorsi è stato condannato dal Tribunale di Milano a versare 20 mila euro di danni al magistrato Agostino Fera, il pm che svolse le prime indagini sull’omicidio Tumino e che lo ha querelato. Insieme a Paolo Di Stefano è stato condannato il giornalista Paolo Mieli, che nel 2008 era il direttore del Corriere della Sera.

Il querelante aveva chiesto 350 mila euro di risarcimento. Il Pubblico Ministero, in udienza, ha chiesto l’assoluzione degli imputati. L’autore dell’articolo aveva prodotto i documenti necessari per provare la verità dei fatti richiamati nel suo articolo. Inoltre aveva illustrato, in maniera puntuale, le modalità di redazione dell’articolo.

Le motivazioni della sentenza saranno rese note dopo l’estate. Paolo di Stefano e Paolo Mieli, assistiti dall’avv. Caterina Malavenda,  hanno intanto presentato domanda di appello.

RED www.ossigenoinformazione.it

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“Ciò che ho scritto sul caso Tumino si è rivelato puntualmente esatto”

Lettera datata Ragusa, 28 marzo 1972

Cara Angela*,

ti do altri elementi su Quintavalle, elementi che ho raccolto stamattina. Sono convinto che vale la pena andare a fondo nella faccenda, perché il nostro uomo è pieno di contraddizioni, e se il suo passato è burrascoso, il suo presente è, quanto meno, poco limpido. Quello che ho scritto dall’inizio del caso Tumino (quando di Q. non si parlava) nella settimana passata, anche se frutto di illazioni, si è rivelato puntualmente esatto. Avevo scritto che dietro il caso Tumino, c’era qualcosa di molto grosso; e poi, parlando di Delle Chiaie e Quintavalle, ho messo in relazione la loro presenza con il delitto Tumino. Anche qui è venuta la conferma: Quintavalle è stato interrogato, e la sua abitazione ragusana perquisita. Ora lui si mostra preoccupato, e la moglie, poco prima che egli rientrasse a Roma mercoledì (è andato in macchina con uno scagnozzo di Cilia) gli ha telefonato che “c’erano altri guai sul giornale”.

Ma andiamo con ordine. Si chiama Vittorio, a Roma abita in viale (…) e ha uno studio di pittore a Porta San Paolo. Qui è venuto poco prima di Natale, con la moglie e con il figlio Giulio Cesare di 16 anni (quello del tentativo di infiltrazione tra gli anarchici). E’ un tipo molto alto, 1 metro e 90. Da Natale si è allontanato solo per brevi periodi per fare delle scappate a Roma. La moglie e il figlio sono rientrati ai primi di gennaio nella capitale. Dell’altro figlio di cui è stata segnalata la presenza ( un giovane di circa 25 anni coi baffi) non ha mai fatto cenno alla famiglia che ha frequentato assiduamente (persone conosciute casualmente e assolutamente insospettabili).

 

Invece telefonavano, lui e la moglie, giornalmente ad un altro figlio, Gaetano di 21 anni, studente universitario. Ora questo Gaetano sarebbe stato operato di emorroidi, e questo giustificherebbe una sua assenza più lunga del previsto (una settimana). Dice anche di avere due figlie femmine. Sostiene di essere laureato in pedagogia e di avere insegnato disegno e pittura a Roma, Firenze e Tokio (sic!). Dice di essere maestro di karatè. Dice di vivere della vendita dei suoi quadri e ha mostrato assegni di mezzo milione. Ma a volte è costretto a ricorrere a prestiti. Ho visto tre suoi quadri, paesaggi (tra l’altro una chiesa dove si sono svolti i funerali di un suo fratello, e lo studio di Porta San Paolo). Non sono opere d’arte, lo stile è un po’ da cartoline tipo Ottocento, ma mostrano una buona conoscenza della tecnica della prospettiva. Non fa mistero di aver fatto parte della Decima Mas, anzi se ne vanta. Non ha mai fatto il nome di Borghese. Dice di essere stato in carcere (controllare se è stato condannato nel ’46 con Borghese, e per quali reati). Dice di essere nato a Torino, da famiglia vittoriose. Conosce Cilia da vecchia data e l’anno scorso gli ha fatto dono per la campagna elettorale di autoadesivi fluorescenti con la foto di Cilia. Che hanno appiccicato su tutte le insegne stradali..

 

Diceva di essere venuto a Ragusa per costruire un albergo di 250 stanze, con piscina su un terreno dell’avv. Schembari, agrario e fascista. Ma nella zona non si possono realizzare insediamenti turistici, e al comune nessuno da niente del progetto. Dice di avere litigato col figlio di questo Schembari, braccio destro di Cilia, tipo equivoco, perché quest’ultimo temeva che gli fregasse la moglie due mesi dopo il matrimonio, e questa vive a Gela). Dice che farà da padrino al nascituro figlio di Cilia (ma Cilia è separato dalla moglie). Dice anche che rimane a Ragusa perché gli stanno preparando una mostra di suoi quadri.

 

Per la sera del delitto ha un alibi che regge: è stato in compagnia di persone insospettabili dal primo pomeriggio ininterrottamente fino alle 23, mentre il delitto sarebbe avvenuto tra le 19 e le 21. L’articolo su “L’Ora” di lunedì 6 lo ha mandato in bestia e si è mostrato, negli ultimi giorni, preoccupato. Dice che gira molto e che è un giorno qui e l’indomani in America. E’ sbruffone ma su certe cose si controlla. Non ha fatto cenno agli articoli, come non ha fatto il nome di Borghese. Questo quanto so fino a questo momento. Sto raccogliendo altre informazioni a Scicli e Vittoria. Penso che questo tizio sia implicato col traffico illecito di oggetti d’arte e pezzi archeologici, ma che abbia una funzione politica precisa nelle fila neofasciste.

Ciao, ciao,

Giovanni Spampinato

*Angela Fais, segretaria di redazione dell’Ora, si era appena trasferita a Roma. Svolgeva lo stesso lavoro per Paese Sera

vedi la precedente lettera datata 11 marzo

“E’ come camminare su un campo minato”

Lettera datata Ragusa, 11 marzo 1972

Cara Angela*,

eccoci a noi. Ti dico subito di cosa ho bisogno e così poi possiamo passare ad altro. Compagni di Siracusa mi hanno fatto notare che il Quintavalle che è qui a Ragusa era forse implicato nel crack finanziario di Valerio Borghese. Ora penso che per voi a Roma non dovrebbe essere difficile avere sue notizie. Lui ha affermato che nella capitale faceva il professore di disegno o pittura in un istituto artistico (è riuscito a “‘mpicari” qualche quadro anche qui). Ha un paio di figli, o forse più.

Mi hanno detto di svolgere indagini qui e a Vittoria, perché forse è nativo delle nostre parti (lui afferma di essere marchigiano, forse di Ancona). Se so altre notizie (dati anagrafici, ecc.) ti telefono senza dare troppo nell’orecchio. Qui a Ragusa e Siracusa, i fascisti sono irritati e preoccupati. Cilia ha fatto cenno a una querela che suoi camerati avrebbero intenzione di fare perché ho detto che sono vicini ai trafficanti di droga.

Una querela l’ha presentata il giudice Campria, per il caso Tumino (perché ho scritto che il figlio di un magistrato era sotto torchio). Come vedi va tutto bene. Con Giacomo si lavora alla perfezione, certo resta sempre il problema economico, il lavoro mi assorbe molto e rende poco. Ieri Nino G. mi ha accennato alla possibilità di una mia utilizzazione a Catania, sempre come collaboratore. Dovremmo parlarne con più precisione. Certo che, in un modo o nell’altro, debbo trovare una sistemazione che mi consenta un minimo di indipendenza economica. E questo, stando a Ragusa, non credo sia possibile. Tra l’altro, ho la ragazza che studia a Roma, e il fatto di vederci solo nelle feste crea problemi. Comunque, non so proprio cosa farò.

In questi ultimi tempi, grazie al continuo impegno, sono piuttosto su di morale, ma a volte per lunghi periodi mi sento intrappolato e non vedo prospettive. Ti scrivo queste cose anche perché tu mi hai spinto a farlo. E, dato che ci sono, ti chiedo un consiglio: secondo te cosa mi conviene fare, stare a Ragusa, andare a Catania o venire a Roma? Ma a Roma non saprei proprio cosa fare. Tu che dici?

Cara Angela, torniamo al lavoro. Forse mi sono buttato troppo a corpo morto su questa faccenda e può essere rischioso, perché è come camminare su un campo minato. Però credo che ne valga la pena perchè qualcosa sotto c’è e di non poco conto. E allora, tanto vale andare a fondo, per evitare di essere presi alla sprovvista.

A Roma come ti trovi? L’ultima volta che ci siamo visti a Palermo eri molto contenta di questo trasferimento. Contaci pure, se vengo a Roma ci sentiamo e ci vediamo e potremo parlare un po’. Dovrei iscrivermi all’albo, ma nessuno ancora mi ha saputo dire esattamente cosa debbo fare. Ciao

Giovanni Spampinato – Ragusa

Ultimora: Quintavalle è stato interrogato in relazione al caso Tumino. Sempre più emozionante!

*questa lettera è indirizzata ad Angela Fais, segretaria di redazione di Paese Sera, a Roma.

Delitto Tumino. Nessun elemento per riaprire le indagini

Verso archiviazione pista romanzesca indicata da lettera anonima 

(…) Parliamo dl un incubo che la coscienza ragusana si trascina da decenni: il caso Tumino-Spampinato. Ci sono i presupposti per riaprire l’inchiesta?

La riapertura delle indagini è codificata dal Codice di procedura penale che richiede nuovi elemnti. Ora, sul delitto Spampinato si e avuta una condanna ed è un caso chiuso. Sì, si potrebbe andare alla ricerca di altri scenari, ma è necessario che emerga una pista, che in questi due anni pero non si è avuta. Se precedentemente qualche pista c’è stata ed è stata valutata negativamente cosi doveva evidentemente essere. Quanto al delitto Tumino l’unica cosa nuova che mi è pervenuta è una ricostruzione degna di una fiction, che probabilmente è pure veritiera ma è assolutamente impraticabile. Qualcuno l‘ha veicolata attraverso una figura istituzionale. Si tratta un testo anonimo, scritto su carta leggera con una Lettera 22, che affida ogni prova alla memoria di persone morte. e quindi non verificabili. Continua a leggere

1972. La rivolta dei cattolici di Ragusa contro il silenzio della stampa locale

Alberto Spampinato, in questo intervento pronunciato a Ragusa il 29 maggio 2008 nel corso di un incontro con le comunità ecclesiali presso la Saletta della Cappella Universitaria, in Corso Italia 109, ricostruisce la forte reazione che ci fu pochi giorni dopo l’assassinio di Giovanni Spampinato, da parte di credenti, sacerdoti e laici che misero apertamente sotto accusa i giornalisti che avevano lasciato da solo il cronista dell’Ora a scrivere che il figlio del  presidente del Tribunale era sospettato di omicidio e l’inchiesta sull’omicidio di Angelo Tumino doveva essere trasferita a un’altra città. La reazione di allora, sull’onda dell’emozione, ebbe anche aspetti autocritici. Ad esempio, mise a fuoco l’atteggiamento passivo della società civile e della politica.Cosa ha prodotto quella reazione?     Continua a leggere

La verità negata del delitto Spampinato

Giovanni, giovane cronista dell’Ora e dell’Unità, fu ucciso in Sicilia il 28 ottobre 1972. Indagava su un altro omicidio. Un caso da riaprire: Mafia e trame nere, nuovi documenti e una procura che non vuole vedere. Accade a Ragusa, oggi come 33 anni fa.

Quando Roberto Campria sporco di sangue e con la pistola ancora in pugno andò a costituirsi, denunciando se stesso per l’omicidio di Giovanni Spampinato, la notte tra il 27 e il 28 ottobre 1972 a Ragusa, in questura dovettero ricordarsi di quella denuncia a suo carico per porto abusivo di armi. Era rimasta nascosta negli uffici di Ps. Qualcuno corse a portarne una copia in procura appena fece giorno. Roberto era il figlio del presidente del tribunale di Ragusa Saverio Campria. Possedeva senza permesso un fucile e due pistole, altre due era andato a comprarle pochi giorni prima a Caltagirone. Erano la Erma calibro 7,65 e la Smith & Wesson calibro 38 con cui sparò a Spampinato che aveva 26 anni ed era un giornalista, corrispondente dell’Ora di Palermo e dell’Unità. Continua a leggere

Campria coinvolge nello scandalo anche i magistrati di Ragusa

Gravi accuse contro i colleghi: si parla di indagini insabbiate, mandati di cattura revocati “per riguardo”. Il presidente è sotto inchiesta.

RAGUSA, 27 nov 1972 – Un mandato di cattura per l’omicidio Tumino era stato già disposto per Roberto Campria ed altre quattro persone, ma il provvedimento è stato poi ritirato per un riguardo al presidente del tribunale, padre di quello che poi doveva diventare l’assassino di Giovanni Spampinato. La grave rivelazione è contenuta in uno dei due documenti presentati dall’alto magistrato sotto forma di “memoriale” al consiglio superiore della magistratura il cui contenuto è al centro della campagna difensiva scatenata dal presidente stesso con il sostegno del giornale scelbiano di Catania.

Campria è sotto inchiesta per il modo come ha retto finora il suo ufficio, ma le accuse che lancia contro i suoi colleghi coinvolgono in un grave scandalo tutta la magistratura ragusana.

Lettere anonime, corruzione e “congiure”, indagini insabbiate, concorsi truccati, un’inchiesta della magistratura superiore e chi più ne ha più ne metta. Insomma le manovre del dr. Campria cominciano a travolgere lui e tutto l’ambiente giudiziario di Ragusa.

I fatti sono noti. Nel tentativo di intorbidare le acque sulle responsabilità dirette e indirette dell’uccisione del nostro collega, il presidente del tribunale ha iniziato una campagna diversiva ma che rivela una serie di incredibili retroscena. L’alto magistrato, che solo ora si è deciso a chiedere il trasferimento di cui si sta occupando in questi giorni il Consiglio superiore della magistratura, ha fatto sapere di avere presentato qualche tempo addietro i due esposti in cui si parla di “congiura” nei suoi confronti, arrivando a sostenere perfino che tutti i sospetti appuntati sul figlio Roberto in relazione al delitto Tumino erano in realtà “la canna di un fucile puntata” contro di lui.

Una campagna denigratoria sarebbe stata addirittura organizzata contro la sua persona e la sua stessa famiglia dai colleghi d’ufficio e da “un magistrato della Corte di Caltanissetta” (il riferimento ad un giudice ragusano è però fin troppo chiaro) il quale avrebbe diretto questa battaglia perché “si ritiene sicuro di riuscire ad essere destinato quale presidente del tribunale di Ragusa” quando Campria sarà finalmente cacciato.

La prova di questa “congiura” è addirittura una lettera anonima, e bisogna subito dire, indipendentemente dall’attendibilità o meno di queste “rivelazioni”, che poiché i fatti hanno una loro estrema gravità, il “canto del cigno” del presidente travolge lui e tutta la Magistratura ragusana in uno scandalo senza limiti.

Una delle accuse che occupano gran parte del “memoriale” di Campria riguarda certe ostilità dimostrate nei suoi riguarda dall’ambiente: menzogne, malignità, ingiurie.

La questione ha un suo risvolto. Giungendo a Ragusa, il dottor Campria trovò subito modo di far montare critiche abbastanza pesanti per il modo con cui iniziò il suo lavoro e per i compromessi stabiliti con certe personalità politiche per trovare un posto al figlio Roberto.

Le accuse provenivano direttamente dal consiglio dell’Ordine degli avvocati che per protesta contro il suo operato e sollecitando la moralizzazione della vita pubblica del presidente, si dimise ed inoltrò una documentata denuncia al Consiglio superiore della magistratura.

L’inchiesta che ne seguì accertò fatti abbastanza gravi, che erano alla base del clamoroso gesto degli avvocati e mise in luce i compromessi che il dottor Campria aveva stabilito con l’ambiente (negli atti trovano larga citazione anche i nomi di certe personalità politiche e religiose).

I risultati di questa inchiesta confermarono anche che per il concorso alla Provincia al quale partecipò il figlio Roberto furono commesse delle scorrettezze nei riguardi degli altri concorrenti fatti ritirare con sottili pressioni. Rimasto solo, Campria-figlio vinse quindi il concorso e venne destinato all’ufficio di Igiene mentale retto dal prof. Pisana.

Successivamente un intervento fortemente critico, che andò a finire anche al Ministero di Grazia e Giustizia, venne pronunciato contro il presidente del tribunale da un avvocato ragusano mentre nell’ambiente giudiziario il dottor Campria dava modo di distinguersi per la sua litigiosità, che lo portava ad avere scontri aperti con i colleghi (sono noti a tutti i rapporti tesi avuti con il procuratore della Repubblica) e per il suo autoritarismo.

Era negato, secondo il giudizio dato da alcuni avvocati, ai rapporti sociali e vedeva dappertutto tentativi di “congiure”, di cui ora parla nel suo memoriale.

A dimostrazione dell’isolamento in cui si era cacciato, basta citare due fatti significativi che lo hanno visto come protagonista di recente. Si tratta di due vicende giudiziarie promosse dalla sua famiglia contro un inquilino che aveva “imbrattato i panni stesi sul balcone” (aveva fatto cadere dell’acqua innaffiando dei fiori: il processo si tenne a Caltanissetta ed il “responsabili” venne assolto) e contro la fidanzata di Roberto, quando questa decise di rompere la relazione, quando questa decise di rompere la relazione, per “appropriazione indebita” di una rivista (anche in questo caso gli andò male perché la ragazza venne prosciolta in istruttoria).

Certe ostilità, quindi, a parte le gravi compromissioni rilevate dall’inchiesta a cui venne sottoposto dalla magistratura superiore, il dottor Campria se le andava cercando e probabilmente anche le “congiure” sono frutto delle sue manie di persecuzione.

A questo proposito, proprio per il contesto in cui va collocato alla luce di questa grave accusa contro i colleghi magistrati, non può passare sotto silenzio l’altra sortita del giudice istruttore Ventura (che conduce l’istruttoria sul caso Tumino) il quale ha rotto il segreto istruttorio per annunciare, quando l’inchiesta non è ancora conclusa,anzi è nota l’intenzione del sostituto procuratore generale della Repubblica di Catania, dottor Auletta, di unificare questo processo e quello per l’uccisione di Giovanni Spampinato, che “non hanno trovato alcuna conferma nei fatti” i sospetti sul giovane assassino del nostro collega per il giallo di contrada “Ciarberi”. Allora dove sta la verità: Campria era innocente, come dice Ventura, o era colpevole come dimostrerebbe il mandato di cattura revocato per un riguardo al padre?

Campria si lamenta anche che una istruttoria tutt’altro che sollecita ha originato due tragedie: quella di Spampinato e l’altra, morale, del figlio assassino. E’ vero e di questo la magistratura ragusana dovrà rendere conto oltre che spiegare l’insabbiamento del rapporto dei carabinieri sulla posizione dal giovane nell’ambito delle indagini sul delitto Tumino. Ma, d’altra parte, anche il presidente non ha fatto nulla per evitare questo dal momento che ha preferito, quando tutti ne chiedevano il trasferimento, rimanere a Ragusa.

Ecco perché, per responsabilità sua e dei suoi colleghi, l’inchiesta su quel caso non ha avuto non solo un corso sollecito ma anche gli sviluppi che doveva avere.

Sia il presidente quanto tutta la magistratura ragusana, dopo questa serie di accuse e contraccuse, stanno dando uno spettacolo davvero deprimente. Un grave scandalo li sta travolgendo. F.N.