Chi era Giovanni e come ricordarlo

Raccogliere memorie e documenti e metterli a disposizione di chi vuole farsi un’idea

FamigliaRAGUSA, 15 gennaio 2010 – “Chi era Giovanni Spampinato”? Sono passati tanti anni dalla sua morte. Le persone che hanno letto i suoi articoli sono poche e oggi non è facile trovare quegli articoli per leggerli. Quanti sono coloro che vissero direttamente i traumi di quei due omicidi nel giro di sei mesi nella tranquilla Ragusa, il dramma di quel ragazzo-giornalista che fu isolato e ucciso mentre indagava su fatti gravissimi. del suo assassinio? Sono sempre di meno. E’ difficile qualcuno che ricordi bene i fatti e abbia voglia di raccontarli. E’ proprio difficile documentarsi su ciò che avvenne a Ragusa in quegli anni. Perciò è difficile dare risposte convincenti alla domanda “chi era Giovanni”. Le opinioni abbondano, ma i documenti che attestano i fatti sono difficili da trovare. E’ un grande problema, Bisogna fare qualcosa. Negli ultimi anni qualcosa di più si è fatto, si sono fatti passi avanti, ma non esiste ancora un luogo in cui chi si pone quella domanda può documentarsi e farsi un’idea basata sui fatti. Ma è già qualcosa, se si pensa che fino a pochi anni fa Giovanni era un perfetto sconosciuto. A Ragusa se ne parlava una volta l’anno con commemorazioni retoriche e rituali che spesso illuminavano più i commemoratori che la figura del commemorato. “Povero ragazzo!” dicevano di lui.

Lo descrivevano come uno sprovveduto, uno studentello che si era fatto male da solo. A chi cercava di saperne di più, si diceva che era un ragazzo che nel 1972 aveva avuto la disgrazia di essere assassinato all’età di 25 anni, a Ragusa, da un tizio che Giovanni aveva provocato e che uccidendolo si era rovinato la vita. Insomma bisognava compiangere soprattutto l’assassino, perché aveva reagito a una “provocazione”. Si trascurava di dire che aveva reagito con sei colpi di pistola. Si era sentito prococato e aveva reagito uccidendolo, dicevano persone per altri versi miti e tranquille con l’aria di descrivere una dinamica ineluttabile.

In realtà neppure nel leggendario Far West di Jesse James le cose andavano così: si discuteva molto prima di sparare, e quelli che sparavano non erano commiserati come vittime. Ma spesso a Ragusa la vicenda è stata presentata così e molti hanno accettato quella versione. Solo qualcuno, mosso dal dubbio, si è spinto a chiedere come aveva fatto Giovanni a provocare il suo assassino. “Aveva scritto che quel tizio era sospettato di omicidio”, era la risposta. Si tralasciava spesso di dire che Giovanni aveva scritto di quei sospetti in documentati articoli di cronaca non smentiti e non smentibili: que quelle erano notizie vere scritte da un giornalista serio e coraggioso, e le notizie vere, anche se sono sgradite, non sono provocazioni.

Ma anche con queste precisazioni, l’immancabile commento è stato spesso questo: “Chi glielo faceva fare?”. Già, chi glielo faceva fare? Eppure era chiaro fin dall’inizio perché Giovanni aveva scritto quelle cose. Era evidente: perché era un giornalista scrupoloso e intendeva il giornalismo come una testimonianza della verità dei fatti e come un servizio svolto nell’interesse generale. Ma nessuno era disposto ad ammetterlo, a Ragusa e nella Sicilia di quegli anni, in cui il giornalismo di inchiesta era considerato una stranezza, una fissazione dei “comunisti” e, in Sicilia, di quell’eccentrico quotidiano per cui scriveva Giovanni: L’Ora di Palermo. Neppure i giudici che condannarono l’assassino vollero ammettere che Giovanni aveva fatto vero giornalismo, con professionalità, con onore e con coraggio.

Soltanto 35 anni dopo, nel 2007 si è cominciato a dire, com’è giusto, che Giovanni non era “un povero ragazzo” che faceva insinuazioni sul conto di qualcuno; che era un bravo giornalista che faceva il suo lavoro con onore, con più professionalità e con più coraggio di altri cronisti; e che le cose che scriveva non erano “provocazioni” ma notizie vere, notizie la cui rilevanza e fondatezza ha resistito alla prova del tempo.

ScrittoreIl fatto è che quelle  notizie vere rompevano il silenzio e davano fastidio a personaggi violenti, ad ambienti potenti, ostacolavano carriere, traffici, disegni eversivi, oscuri scambi fra settori pubblici compiacenti e criminalità. A dire nel modo più chiaro e solenne che Giovanni è stato un giornalista che ha fatto onore alla sua professione è stata, nel 2007, la giuria del Premio Saint Vincent di Giornalismo, uno dei più prestigiosi del settore, che ha concesso un premio speciale alla memoria di Giovanni riconoscendo nella sua storia la vicenda di tutti i giornalisti vittime di mafie e terrorismo. E nel 2007 lo ha detto, con espressioni analoghe di apprezzamento, anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Così, dopo 35 anni, la bistrattata immagine del “povero ragazzo” è stata riabilitata. Da allora, convegni, libri, articoli, interviste, inchieste, tesi di laurea hanno illuminato di nuova luce la figura del cronista di Ragusa. La sua storia ha ispirato nuove iniziative, fra le quali “Ossigeno per l’informazione, l’osservatorio della Federazione Nazionale della Stampa Italiana e dell’Ordine dei Giornalisti sui cronisti minacciati e sulle notizie oscurate con la violenza.

Ma ancora non si è fa abbastanza per fare conoscere Giovanni, per fare conoscere gli articoli che scriveva e le idee che professava. Non si è fatto abbastanza neppure per descrivere e comprendere quelle torbide trame eversive, malavitose e politiche che si intrecciavano nella Sicilia “babba” di quegli anni: le trame che Giovanni aveva messo allo scoperto con le sue inchieste e che probabilmente portano al vero movente del suo assassinio. Non si è fatto abbastanza, infine, per promuovere, sulla tragica morte di Giovanni,  le riflessioni che  una società sana, libera, giusta deve fare ogni volta che viene ucciso un innocente; che deve fare, a maggior ragione, per ogni vittima chi ricopre una funzione di pubblico interesse. Riflettere pubblicamente e chiarire i fatti è l’unico modo con cui una comunità può onorare le vittime innocenti. E’ l’unico modo con cui una comunità può trovare i rimedi necessari affinché certe tragedie non si ripetano più. E’ l’unico modi elaborare il lutto collettivo.

Non si è fatto abbastanza, rimane un vuoto da colmare. Perciò noi familiari e vecchi amici di Giovanni abbiamo costituito l’Associazione culturale Giovanni Spampinato (Gio.Spa). Abbiamo creato questo sito per sostenere il progetto di un centro di documentazione su Giovanni Spampinato, sulla sua vicenda su Ragusa e sulla Sicilia segreta di quegli anni.

Siamo armati di buona volontà e ricchi di buone intenzioni. Puntiamo sul contributo volontario di chi crede in questo progetto che richiederà ore ed ore di lavoro e le più varie competenze. Confidiamo anche nella collaborazione delle istituzioni. Ecco, siamo partiti. Auguriamo buon viaggio a noi stessi e a quanti vorranno unirsi a noi lungo la strada.

Alberto Spampinato