Torna in scena il dramma teatrale sul cronista di Ragusa

Ragusa, 6 feb 2012 – Torna in scena dopo quattro anni “Il Caso Spampinato”. L’inchiesta drammaturgica di Danilo Schininà e Roberto S. Rossi ricostruisce le inchieste del giornalista dell’Ora assassinato a Ragusa quaranta anni fa. Dopo Ragusa, dove sarà rappresentato il 3 marzo al Cinema Lumiere, e Catania (in scena all’Università il 13 marzo) lo spettacolo andrà a Bologna (probabilmente il 20 marzo) e poi in tourneé in Belgio: il 22 marzo a Borgerhout, il 24 a Lovanio (data probabile), il 25 a Brugge (Meersenhuis), il 26 a  Bruxelles, il 27 a Sint-Niklaas (Museumtheater), il 28 a Gent (Intercultureel Centrum De Centrale), il 30 ad Anversa (Theater Het Klokhuis). Continua a leggere

I dannati della memoria. La società e le vittime innocenti

L’intervento di Alberto Spampinato *

“…Rendere accessibili in modo unitario gli articoli dei giornalisti uccisi è la cosa più importante da fare ed è ciò che non si riesce ancora a fare…”.

NARNI, 20 aprile 2012 – Il Senato Romano applicava ad alcuni condannati illustri una pena crudele: la cancellazione della memoria. Nei nostri codici, per fortuna, questa pena non esiste. Ma la damnatio memoriae viene inflitta lo stesso, tacitamente e in un modo ancora più crudele: non a chi è stato dichiarato colpevole di qualcosa, ma a chi è stato vittima innocente della violenza, della criminalità, dell’ingiustizia, a chi è stato ucciso mentre svolgeva una funzione di pubblico interesse per la collettività, a persone che le istituzioni sociali dovrebbero ricordare, onorare, celebrare pubblicamente.

Molto spesso il compito e il peso di ricordare pubblicamente queste vittime è lasciato ai familiari, agli amici, ai conoscenti, a gruppi di cittadini che devono lottare che devono vincere ogni volta la disattenzione generale, che lottano con pochi mezzi contro la lenta ma inesorabile azione del tempo che cancella i ricordi, fa uscire di scena i testimoni diretti, riduce gran parte delle vittime a nomi senza storia.

La disattenzione pubblica non nasce dal nulla. Per una prassi crudele, gli assassini suscitano sempre più interesse degli assassinati, e perciò a loro la cronaca dà infinitamente più spazio. Quasi sempre i nomi degli assassini sono più noti di quelli delle loro vittime. Nel format narrativo, i familiari delle vittime non hanno nessuno spazio, il loro punto di vista è spesso trascurato. La società dovrebbe correggere questa barbarie che spesso si riflette in presenze televisive, nel contenuto di  libri ed opere televisive  e cinematografiche in cui le vittime sono solo uno spunto narrativo, e perciò la loro immagine è spesso piegata con disinvoltura alle esigenze narrative. Continua a leggere

“Offesa la memoria di Giovanni e nessuno ha reagito”

“In Sicilia mancano i pressuposti per ricordare Giovanni” ha detto il 3 maggio 2012, a Palazzo dei Normanni durante la cerimonia in ricordo dei giornalisti uccisi

di Alberto Spampinato – Roma, 4 maggio 2012 – Alla cerimonia che si è svolta, giovedì 3 maggio a Palermo, a Palazzo dei Normanni, in ricordo di tutti i giornalisti uccisi, alla presenza del presidente dell’Assemblea Regionale Francesco Cascio, avrei voluto parlare di mio fratello Giovanni Spampinato, giornalista dell’Ora ucciso barbaramente a Ragusa nel 1972 all’età di 25 anni. Avrei voluto parlarne, ma poi non l’ho fatto. Sono andato al microfono e ho detto: credo che in Sicilia, nella sua terra, non ci siano più le condizioni per ricordare degnamente Giovanni Spampinato.

Poi ho spiegato perché la penso così. Nei giorni scorsi, ho detto, è stato reso noto che proprio in Sicilia una istituzione pubblica ha offeso la memoria di Giovanni. Nessuno, in Sicilia, ci ha trovato da ridire. I giornali siciliani non hanno riportato la notizia. Nessuno vi ha fatto cenno neppure nel corso di questa cerimonia indetta proprio per onorare la memoria dei giornalisti uccisi. Quindi, ho concluso, ciò vuol dire che Giovanni può essere ricordato degnamente solo lontano dalla terra in cui è nato e dal luogo in cui gli è stata strappata la vita. Continua a leggere

Delitto Tumino. Condannato giornalista Corriere della Sera

In una ampia ricostruzione del 2008, Paolo Di Stefano ha espresso i suoi dubbi sul’efficacia delle indagini sull’omicidio dell’ingegnere Angelo Tumino, ucciso nel 1972 a Ragusa, un oscuro delitto per il quale non è mai stato processato nessuno. L’ex procuratore della Repubblica Agostino Fera, che condusse le indagini sommarie, ha reagito. Condannato anche l’allora direttore del quotidiano Paolo Mieli. Anche il corrispondente del giornale L’Ora Giovanni Spampinato criticò quelle indagini. Fu ucciso qualche mese dopo da uno dei sospettati

OSSIGENO – MILANO, 23 Giugno 2012 – L’ingegner Angelo Tumino fu ucciso a Ragusa quarant’anni fa. Le indagini girarono a vuoto. Nel 1972 il cronista dell’Ora Giovanni Spampinato sollecitò più volte gli inquirenti, prima di essere assassinato da uno dei sospettati di quell’omicidio. Per il misterioso omicidio Tumino le indagini si sono sempre svolte a carico di ignoti e infine, qualche anno fa, l’inchiesta è stata archiviata con un nulla di fatto. Come si comportarono gli inquirenti? Paolo Di Stefano ha criticato il loro operato in un ampio reportage pubblicato il 1 giugno 2008 sul Corriere della Sera. Per quelle critiche è stato denunciato per diffamazione e nei giorni scorsi è stato condannato dal Tribunale di Milano a versare 20 mila euro di danni al magistrato Agostino Fera, il pm che svolse le prime indagini sull’omicidio Tumino e che lo ha querelato. Insieme a Paolo Di Stefano è stato condannato il giornalista Paolo Mieli, che nel 2008 era il direttore del Corriere della Sera.

Il querelante aveva chiesto 350 mila euro di risarcimento. Il Pubblico Ministero, in udienza, ha chiesto l’assoluzione degli imputati. L’autore dell’articolo aveva prodotto i documenti necessari per provare la verità dei fatti richiamati nel suo articolo. Inoltre aveva illustrato, in maniera puntuale, le modalità di redazione dell’articolo.

Le motivazioni della sentenza saranno rese note dopo l’estate. Paolo di Stefano e Paolo Mieli, assistiti dall’avv. Caterina Malavenda,  hanno intanto presentato domanda di appello.

RED www.ossigenoinformazione.it

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“Ciò che ho scritto sul caso Tumino si è rivelato puntualmente esatto”

Lettera datata Ragusa, 28 marzo 1972

Cara Angela*,

ti do altri elementi su Quintavalle, elementi che ho raccolto stamattina. Sono convinto che vale la pena andare a fondo nella faccenda, perché il nostro uomo è pieno di contraddizioni, e se il suo passato è burrascoso, il suo presente è, quanto meno, poco limpido. Quello che ho scritto dall’inizio del caso Tumino (quando di Q. non si parlava) nella settimana passata, anche se frutto di illazioni, si è rivelato puntualmente esatto. Avevo scritto che dietro il caso Tumino, c’era qualcosa di molto grosso; e poi, parlando di Delle Chiaie e Quintavalle, ho messo in relazione la loro presenza con il delitto Tumino. Anche qui è venuta la conferma: Quintavalle è stato interrogato, e la sua abitazione ragusana perquisita. Ora lui si mostra preoccupato, e la moglie, poco prima che egli rientrasse a Roma mercoledì (è andato in macchina con uno scagnozzo di Cilia) gli ha telefonato che “c’erano altri guai sul giornale”.

Ma andiamo con ordine. Si chiama Vittorio, a Roma abita in viale (…) e ha uno studio di pittore a Porta San Paolo. Qui è venuto poco prima di Natale, con la moglie e con il figlio Giulio Cesare di 16 anni (quello del tentativo di infiltrazione tra gli anarchici). E’ un tipo molto alto, 1 metro e 90. Da Natale si è allontanato solo per brevi periodi per fare delle scappate a Roma. La moglie e il figlio sono rientrati ai primi di gennaio nella capitale. Dell’altro figlio di cui è stata segnalata la presenza ( un giovane di circa 25 anni coi baffi) non ha mai fatto cenno alla famiglia che ha frequentato assiduamente (persone conosciute casualmente e assolutamente insospettabili).

 

Invece telefonavano, lui e la moglie, giornalmente ad un altro figlio, Gaetano di 21 anni, studente universitario. Ora questo Gaetano sarebbe stato operato di emorroidi, e questo giustificherebbe una sua assenza più lunga del previsto (una settimana). Dice anche di avere due figlie femmine. Sostiene di essere laureato in pedagogia e di avere insegnato disegno e pittura a Roma, Firenze e Tokio (sic!). Dice di essere maestro di karatè. Dice di vivere della vendita dei suoi quadri e ha mostrato assegni di mezzo milione. Ma a volte è costretto a ricorrere a prestiti. Ho visto tre suoi quadri, paesaggi (tra l’altro una chiesa dove si sono svolti i funerali di un suo fratello, e lo studio di Porta San Paolo). Non sono opere d’arte, lo stile è un po’ da cartoline tipo Ottocento, ma mostrano una buona conoscenza della tecnica della prospettiva. Non fa mistero di aver fatto parte della Decima Mas, anzi se ne vanta. Non ha mai fatto il nome di Borghese. Dice di essere stato in carcere (controllare se è stato condannato nel ’46 con Borghese, e per quali reati). Dice di essere nato a Torino, da famiglia vittoriose. Conosce Cilia da vecchia data e l’anno scorso gli ha fatto dono per la campagna elettorale di autoadesivi fluorescenti con la foto di Cilia. Che hanno appiccicato su tutte le insegne stradali..

 

Diceva di essere venuto a Ragusa per costruire un albergo di 250 stanze, con piscina su un terreno dell’avv. Schembari, agrario e fascista. Ma nella zona non si possono realizzare insediamenti turistici, e al comune nessuno da niente del progetto. Dice di avere litigato col figlio di questo Schembari, braccio destro di Cilia, tipo equivoco, perché quest’ultimo temeva che gli fregasse la moglie due mesi dopo il matrimonio, e questa vive a Gela). Dice che farà da padrino al nascituro figlio di Cilia (ma Cilia è separato dalla moglie). Dice anche che rimane a Ragusa perché gli stanno preparando una mostra di suoi quadri.

 

Per la sera del delitto ha un alibi che regge: è stato in compagnia di persone insospettabili dal primo pomeriggio ininterrottamente fino alle 23, mentre il delitto sarebbe avvenuto tra le 19 e le 21. L’articolo su “L’Ora” di lunedì 6 lo ha mandato in bestia e si è mostrato, negli ultimi giorni, preoccupato. Dice che gira molto e che è un giorno qui e l’indomani in America. E’ sbruffone ma su certe cose si controlla. Non ha fatto cenno agli articoli, come non ha fatto il nome di Borghese. Questo quanto so fino a questo momento. Sto raccogliendo altre informazioni a Scicli e Vittoria. Penso che questo tizio sia implicato col traffico illecito di oggetti d’arte e pezzi archeologici, ma che abbia una funzione politica precisa nelle fila neofasciste.

Ciao, ciao,

Giovanni Spampinato

*Angela Fais, segretaria di redazione dell’Ora, si era appena trasferita a Roma. Svolgeva lo stesso lavoro per Paese Sera

vedi la precedente lettera datata 11 marzo

Trieste ricorda Anna Politkovskaja. Ragusa dimentica Giovanni Spampinato

Nel capoluogo giuliano, alla presenza del segretario FNSI Franco Siddi, è stata inaugurata una Sala Stampa del Comune dedicata alla giornalista russa Anna Politkovskaja, uccisa a Mosca nel 2006. A Ragusa è stata chiusa la Sala Stampa della Provincia dedicata a Giovanni Spampinato, il corrispondente dell’Ora ucciso nel 1972. Era stata inaugurata nel 1995 dall’allora presidente dell’Ordine dei Giornalisti Mario Petrina (vedi le foto della cerimonia)

Ragusa, 30 aprile 2012 – Venerdì 27 aprile a Trieste, nel corso di una cerimonia pubblica, è stata inaugurata la nuova sala stampa del Comune, intitolata alla giornalista russa Anna Politkovskaja, assassinata a Mosca il 7 ottobre 2006, divenuta un simbolo della battaglia per affermare la libertà di informazione, un nome che si vuole indicare come esempio di coraggio e di impegno professionale. All’inaugurazione hanno partecipato il sindaco di Trieste Roberto Cosolini, la vice sindaco Fabiana Martini, il segretario generale della Fnsi Franco Siddi e i vertici del sindacato e dell’ordine regionale dei giornalisti.

A Ragusa invece è stata chiusa in data imprecisata e senza darne comunicazione la Sala Stampa “Giovanni Spampinato” inaugurata nel 1995 dall’Amministrazione Provinciale di Ragusa e dedicata, in segno di omaggio, al giornalista di Ragusa, corrispondente dell’Ora e dell’Unità, assassinato 40 anni fa, il 27 ottobre 1972.

La Sala stampa Giovanni Spampinato fu inaugurata il 22 luglio 1995 alla presenza delle autorità locali, del presidente dell’Ordine nazionale dei Giornalisti, Mario Petrina, e dei genitori di Giovanni Spampinato, con l’impegno di onorarne la memoria. Nel 2007 al cronista di Ragusa è stato conferito il Premio di Giornalismo Saint Vincent speciale alla memoria ”riconoscendo in lui la memoria di tutte le altre vittime” nel campo del giornalismo. La sua figura è stata indicata come esempio di impegno civile e professionale dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e da numerose personalità. “Guai se Ragusa dimentica Giovanni Spampinato”, disse don Luigi Ciotti nel 2009.

”Giovanni Spampinato – dichiarò nel 2007 Giorgio Napolitano – ha onorato la professione giornalistica e i valori di verità, legalità e giustizia. È importante che si rifletta sul giornalismo di inchiesta attraverso la storia dei cronisti come lui che in ogni parte d’Italia hanno offerto significative testimonianze di coraggio professionale, di impegno civile e di dedizione ai principi costituzionali di democrazia e libertà. Queste storie, drammatiche ma esemplari, vanno conosciute come parte essenziale di una memoria condivisa da trasmettere alle nuove leve del giornalismo e alle nuove generazioni”.

Hanno detto di Giovanni Spampinato:

Vittorio Nisticò

L’uccisione di Giovanni Spampinato aggiunse alla storia del giornale L’Ora, e del giornalismo italiano, una pagina autentica, essenziale nella sua semplicità, e insieme epica, da consegnare alla storia nazionale. Era il più giovane e il più promettente dei nostri corrispondenti. Faceva parte della generazione del Sessantotto.
Visse con noi la straordinaria avventura di un cronista impegnato fino al punto di pagare col sangue la sua passione civile e il suo coraggio. Ricordo il nostro titolo a tutta pagina: “Assassinato perché cercava la verità”. Ha cercato la verità “a prezzo di sangue”, sottolineai nel breve editoriale che improvvisai sul bancone della tipografia. La morte di Giovanni scaricò sulla piccola comunità del giornale un altro fardello di dolore e di lutto. Ci colpì mentre eravamo ancora afflitti dai dolorosi fragori del “caso De Mauro”, sparito due anni prima nel nulla. Nel 1960 avevamo perso il giovane e brillante corrispondente da Termini Imerese, Cosimo Cristina…
“Ancora il tragico segno della violenza lungo il duro cammino di questo giornale…” scrissi. Quella constatazione attraversò come un lampo i nostri pensieri e ci accomunò nel dolore e nella fierezza. Sull’onda dell’emozione, i giornalisti di Milano assegnarono a L’Ora il celebre Premiolino. Partecipai alla premiazione al Bagutta insieme a Vincenzo Consolo. Il nostro piccolo giornale visse un attimo di gloria grazie a Giovanni Spampinato. Anche per questo lo ricordo sempre con gratitudine e gli rendo onore insieme alla sua famiglia e alla splendida sinistra di Ragusa, perché Giovanni era figlio dell’una e dell’altra.


Mario Genco, L’Ora 28 ottobre 1972

“Mettiamo anche lui, quest’altro morto nostro, sul conto della Sicilia dell’indifferenza, della collusione e dell’intrigo, dell’agguato e del ricatto: per la parte che in tutte queste cose le compete lo mettiamo sul conto di una parte di questa città, Ragusa, quella dei suoi galantuomini abituati al consenso, al silenzio. Giovanni Spampinato per tenace coscienza e serena tradizione di famiglia si era scelto l’altra parte: coraggio brava gente, adesso almeno lui non parlerà più.

Questo è un omicidio in nome collettivo, e si è andato compiendo per le strade e le piazze, tutte le strade e le piazze di questa città, nelle cancellerie di tribunale, negli uffici della gente che conta, nella città che conta, nei rapporti di polizia, nella trama dei silenzi e delle omissioni”.

Giorgio Frasca Polara

Era un cronista di impegno civile, proteso non tanto al “colpo” professionale che si esaurisce con la vampata di un titolo a nove colonne, quanto piuttosto il servizio che armonizza l’importanza della notizia con la necessità e la cura di una informazione complessiva che è attenta quindi, in primo luogo, alla prospettiva sociale e politica in cui il fatto si colloca.

Emanuele Macaluso

La storia di Giovanni Spampinato racconta una vicenda esemplare. Ci ricorda come funzionava il sistema di potere in Sicilia e nel Sud, nel 1972, quando fu ucciso a Ragusa questo giovane e coraggioso giornalista.
Molti magistrati nell’esercizio delle loro funzioni coprivano i “signori“ e i potenti della politica, che a loro volta coprivano quei magistrati. Erano anni torbidi, era in corso, dopo il ’68 e le grandi lotte sociali del ’69-’70, una controffensiva di destra, non solo sul piano politico, di governo, dato che riemergevano gruppi eversivi che seminavano stragi, uccidevano. Dalla sua provincia del profondo Sud, dove lo scontro sociale e politico era stato durissimo, Giovanni denunciò fatti di cronaca politica e di cronaca nera intrecciati e inquietanti. Seguì con scrupolo le pecche delle indagini sull’assassinio di un notabile e le attività più che sospette del figlio fascista di un magistrato.
Per quello scrupolo fu assassinato. Nonostante tutto quel che è emerso, i processi non gli hanno reso giustizia.

Vincenzo Consolo

In Sicilia l’impegno civile dei giornalisti è stato pagato con una strage di cronisti. Otto morti dal Dopoguerra. Dopo Cosimo Cristina e Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato fu il terzo cronista del giornale L’Ora ad essere eliminato. Scriveva, Spampinato, dei rapporti, nel Ragusano, tra i fascisti e la malavita organizzata. Gli assassinati de L’Ora, un giornale di frontiera che per primo, e da solo, si è occupato dei legami fra mafia e politica, subendo, nella sua sede palermitana, un attentato con bombe. Di mafia e potere politico si occupava L’Ora, ma anche di quel fascismo carsico che di tempo in tempo riemerge, come oggi in questa Italia governata da Berlusconi. Quell’“eterno fascismo italiano”, di cui ha scritto Carlo Levi, contro cui si scontrò Giovanni Spampinato nella sua ricerca di verità, pagando con la vita. La sua storia è simile a quella di tanti altri cronisti,
scrittori, magistrati, umili servitori dello Stato uccisi per il loro senso del dovere civile e della dignità umana.

Luca Telese

Non aveva scelto la vita comoda né la carriera, Giovanni. Era un cronista irregolare nel senso migliore del termine: ovvero non faceva sconti a nessuno. Non concepiva che si potesse essere corretti e garantisti solo con alcuni. E nemmeno sottomesso e accondiscendente con i piccoli-grandi potenti del suo mondo. Così il suo destino è stato segnato: ribelle al potere, corretto e garantista con tutti, perfino con il suo assassino.

Lirio Abbate

Raccontava la verità, Giovanni. Lo faceva senza diffamare nessuno, segnalando il puzzo di mafia che i siciliani imparano a distinguere fin da giovani. Spampinato lo riconosceva perché aveva nel Dna la cultura della responsabilità e perché lavorava “con quei matti” de L’Ora, che si divertivano a fare un giornale di denuncia duro come la roccia. Il libro racconta il coraggio di questo giovane assassinato nel ragusano,ma descrive anche il forte e profondo dolore dei familiari che subirono la violenza dell’omicida e il parossistico tentativo dei suoi influenti genitori di liquidare l’assassinio di un cronista di 25 anni come la morte di un cane rabbioso. Alberto Spampinato ci riporta alla mafia, a un miscuglio di insabbiamenti, depistaggi, contrabbando, traffici illeciti,
trame nere e a oscuri moventi e sentenze di favore per coprire l’omicidio di un bravo giornalista.

Il Foglio, 13 ottobre 2007

Studente e giovane giornalista dell’Ora di Palermo, fu assassinato perché aveva dato una notizia di troppo. Si oppose apertamente a una regola del quieto vivere, pacificamente accettata da molti suoi colleghi che lavorano nelle città di provincia: è meglio lasciare nel cassetto le notizie sgradite ai potenti del luogo.

Belgio. La storia di Giovanni fa il pieno in 5 università

“Avevo sottovalutato l’interesse dei miei connazionali per questa drammatica vicenda siciliana”, spiega Sarah Vantorre, la ricercatrice belga che ha promosso e seguito il tour dell’ ”inchiesta drammaturgia sul caso Spampinato”, rappresentata in forma di recital in cinque atenei del Belgio e all’Istituto di Ciltura di Bruxelles da Danilo Schininà e Giovanni Arezzo. Sarah riferisce le impressioni del pubblico e le confronta con le sue aspettative. (nella foto: Giovanni Arezzo e Danilo Schininà)

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