Torna in scena il dramma teatrale sul cronista di Ragusa

Ragusa, 6 feb 2012 – Torna in scena dopo quattro anni “Il Caso Spampinato”. L’inchiesta drammaturgica di Danilo Schininà e Roberto S. Rossi ricostruisce le inchieste del giornalista dell’Ora assassinato a Ragusa quaranta anni fa. Dopo Ragusa, dove sarà rappresentato il 3 marzo al Cinema Lumiere, e Catania (in scena all’Università il 13 marzo) lo spettacolo andrà a Bologna (probabilmente il 20 marzo) e poi in tourneé in Belgio: il 22 marzo a Borgerhout, il 24 a Lovanio (data probabile), il 25 a Brugge (Meersenhuis), il 26 a  Bruxelles, il 27 a Sint-Niklaas (Museumtheater), il 28 a Gent (Intercultureel Centrum De Centrale), il 30 ad Anversa (Theater Het Klokhuis). Continua a leggere

I dannati della memoria. La società e le vittime innocenti

L’intervento di Alberto Spampinato *

“…Rendere accessibili in modo unitario gli articoli dei giornalisti uccisi è la cosa più importante da fare ed è ciò che non si riesce ancora a fare…”.

NARNI, 20 aprile 2012 – Il Senato Romano applicava ad alcuni condannati illustri una pena crudele: la cancellazione della memoria. Nei nostri codici, per fortuna, questa pena non esiste. Ma la damnatio memoriae viene inflitta lo stesso, tacitamente e in un modo ancora più crudele: non a chi è stato dichiarato colpevole di qualcosa, ma a chi è stato vittima innocente della violenza, della criminalità, dell’ingiustizia, a chi è stato ucciso mentre svolgeva una funzione di pubblico interesse per la collettività, a persone che le istituzioni sociali dovrebbero ricordare, onorare, celebrare pubblicamente.

Molto spesso il compito e il peso di ricordare pubblicamente queste vittime è lasciato ai familiari, agli amici, ai conoscenti, a gruppi di cittadini che devono lottare che devono vincere ogni volta la disattenzione generale, che lottano con pochi mezzi contro la lenta ma inesorabile azione del tempo che cancella i ricordi, fa uscire di scena i testimoni diretti, riduce gran parte delle vittime a nomi senza storia.

La disattenzione pubblica non nasce dal nulla. Per una prassi crudele, gli assassini suscitano sempre più interesse degli assassinati, e perciò a loro la cronaca dà infinitamente più spazio. Quasi sempre i nomi degli assassini sono più noti di quelli delle loro vittime. Nel format narrativo, i familiari delle vittime non hanno nessuno spazio, il loro punto di vista è spesso trascurato. La società dovrebbe correggere questa barbarie che spesso si riflette in presenze televisive, nel contenuto di  libri ed opere televisive  e cinematografiche in cui le vittime sono solo uno spunto narrativo, e perciò la loro immagine è spesso piegata con disinvoltura alle esigenze narrative. Continua a leggere

“Offesa la memoria di Giovanni e nessuno ha reagito”

“In Sicilia mancano i pressuposti per ricordare Giovanni” ha detto il 3 maggio 2012, a Palazzo dei Normanni durante la cerimonia in ricordo dei giornalisti uccisi

di Alberto Spampinato – Roma, 4 maggio 2012 – Alla cerimonia che si è svolta, giovedì 3 maggio a Palermo, a Palazzo dei Normanni, in ricordo di tutti i giornalisti uccisi, alla presenza del presidente dell’Assemblea Regionale Francesco Cascio, avrei voluto parlare di mio fratello Giovanni Spampinato, giornalista dell’Ora ucciso barbaramente a Ragusa nel 1972 all’età di 25 anni. Avrei voluto parlarne, ma poi non l’ho fatto. Sono andato al microfono e ho detto: credo che in Sicilia, nella sua terra, non ci siano più le condizioni per ricordare degnamente Giovanni Spampinato.

Poi ho spiegato perché la penso così. Nei giorni scorsi, ho detto, è stato reso noto che proprio in Sicilia una istituzione pubblica ha offeso la memoria di Giovanni. Nessuno, in Sicilia, ci ha trovato da ridire. I giornali siciliani non hanno riportato la notizia. Nessuno vi ha fatto cenno neppure nel corso di questa cerimonia indetta proprio per onorare la memoria dei giornalisti uccisi. Quindi, ho concluso, ciò vuol dire che Giovanni può essere ricordato degnamente solo lontano dalla terra in cui è nato e dal luogo in cui gli è stata strappata la vita. Continua a leggere

Delitto Tumino. Condannato giornalista Corriere della Sera

In una ampia ricostruzione del 2008, Paolo Di Stefano ha espresso i suoi dubbi sul’efficacia delle indagini sull’omicidio dell’ingegnere Angelo Tumino, ucciso nel 1972 a Ragusa, un oscuro delitto per il quale non è mai stato processato nessuno. L’ex procuratore della Repubblica Agostino Fera, che condusse le indagini sommarie, ha reagito. Condannato anche l’allora direttore del quotidiano Paolo Mieli. Anche il corrispondente del giornale L’Ora Giovanni Spampinato criticò quelle indagini. Fu ucciso qualche mese dopo da uno dei sospettati

OSSIGENO – MILANO, 23 Giugno 2012 – L’ingegner Angelo Tumino fu ucciso a Ragusa quarant’anni fa. Le indagini girarono a vuoto. Nel 1972 il cronista dell’Ora Giovanni Spampinato sollecitò più volte gli inquirenti, prima di essere assassinato da uno dei sospettati di quell’omicidio. Per il misterioso omicidio Tumino le indagini si sono sempre svolte a carico di ignoti e infine, qualche anno fa, l’inchiesta è stata archiviata con un nulla di fatto. Come si comportarono gli inquirenti? Paolo Di Stefano ha criticato il loro operato in un ampio reportage pubblicato il 1 giugno 2008 sul Corriere della Sera. Per quelle critiche è stato denunciato per diffamazione e nei giorni scorsi è stato condannato dal Tribunale di Milano a versare 20 mila euro di danni al magistrato Agostino Fera, il pm che svolse le prime indagini sull’omicidio Tumino e che lo ha querelato. Insieme a Paolo Di Stefano è stato condannato il giornalista Paolo Mieli, che nel 2008 era il direttore del Corriere della Sera.

Il querelante aveva chiesto 350 mila euro di risarcimento. Il Pubblico Ministero, in udienza, ha chiesto l’assoluzione degli imputati. L’autore dell’articolo aveva prodotto i documenti necessari per provare la verità dei fatti richiamati nel suo articolo. Inoltre aveva illustrato, in maniera puntuale, le modalità di redazione dell’articolo.

Le motivazioni della sentenza saranno rese note dopo l’estate. Paolo di Stefano e Paolo Mieli, assistiti dall’avv. Caterina Malavenda,  hanno intanto presentato domanda di appello.

RED www.ossigenoinformazione.it

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Trieste ricorda Anna Politkovskaja. Ragusa dimentica Giovanni Spampinato

Nel capoluogo giuliano, alla presenza del segretario FNSI Franco Siddi, è stata inaugurata una Sala Stampa del Comune dedicata alla giornalista russa Anna Politkovskaja, uccisa a Mosca nel 2006. A Ragusa è stata chiusa la Sala Stampa della Provincia dedicata a Giovanni Spampinato, il corrispondente dell’Ora ucciso nel 1972. Era stata inaugurata nel 1995 dall’allora presidente dell’Ordine dei Giornalisti Mario Petrina (vedi le foto della cerimonia)

Ragusa, 30 aprile 2012 – Venerdì 27 aprile a Trieste, nel corso di una cerimonia pubblica, è stata inaugurata la nuova sala stampa del Comune, intitolata alla giornalista russa Anna Politkovskaja, assassinata a Mosca il 7 ottobre 2006, divenuta un simbolo della battaglia per affermare la libertà di informazione, un nome che si vuole indicare come esempio di coraggio e di impegno professionale. All’inaugurazione hanno partecipato il sindaco di Trieste Roberto Cosolini, la vice sindaco Fabiana Martini, il segretario generale della Fnsi Franco Siddi e i vertici del sindacato e dell’ordine regionale dei giornalisti.

A Ragusa invece è stata chiusa in data imprecisata e senza darne comunicazione la Sala Stampa “Giovanni Spampinato” inaugurata nel 1995 dall’Amministrazione Provinciale di Ragusa e dedicata, in segno di omaggio, al giornalista di Ragusa, corrispondente dell’Ora e dell’Unità, assassinato 40 anni fa, il 27 ottobre 1972.

La Sala stampa Giovanni Spampinato fu inaugurata il 22 luglio 1995 alla presenza delle autorità locali, del presidente dell’Ordine nazionale dei Giornalisti, Mario Petrina, e dei genitori di Giovanni Spampinato, con l’impegno di onorarne la memoria. Nel 2007 al cronista di Ragusa è stato conferito il Premio di Giornalismo Saint Vincent speciale alla memoria ”riconoscendo in lui la memoria di tutte le altre vittime” nel campo del giornalismo. La sua figura è stata indicata come esempio di impegno civile e professionale dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e da numerose personalità. “Guai se Ragusa dimentica Giovanni Spampinato”, disse don Luigi Ciotti nel 2009.

”Giovanni Spampinato – dichiarò nel 2007 Giorgio Napolitano – ha onorato la professione giornalistica e i valori di verità, legalità e giustizia. È importante che si rifletta sul giornalismo di inchiesta attraverso la storia dei cronisti come lui che in ogni parte d’Italia hanno offerto significative testimonianze di coraggio professionale, di impegno civile e di dedizione ai principi costituzionali di democrazia e libertà. Queste storie, drammatiche ma esemplari, vanno conosciute come parte essenziale di una memoria condivisa da trasmettere alle nuove leve del giornalismo e alle nuove generazioni”.

Hanno detto di Giovanni Spampinato:

Vittorio Nisticò

L’uccisione di Giovanni Spampinato aggiunse alla storia del giornale L’Ora, e del giornalismo italiano, una pagina autentica, essenziale nella sua semplicità, e insieme epica, da consegnare alla storia nazionale. Era il più giovane e il più promettente dei nostri corrispondenti. Faceva parte della generazione del Sessantotto.
Visse con noi la straordinaria avventura di un cronista impegnato fino al punto di pagare col sangue la sua passione civile e il suo coraggio. Ricordo il nostro titolo a tutta pagina: “Assassinato perché cercava la verità”. Ha cercato la verità “a prezzo di sangue”, sottolineai nel breve editoriale che improvvisai sul bancone della tipografia. La morte di Giovanni scaricò sulla piccola comunità del giornale un altro fardello di dolore e di lutto. Ci colpì mentre eravamo ancora afflitti dai dolorosi fragori del “caso De Mauro”, sparito due anni prima nel nulla. Nel 1960 avevamo perso il giovane e brillante corrispondente da Termini Imerese, Cosimo Cristina…
“Ancora il tragico segno della violenza lungo il duro cammino di questo giornale…” scrissi. Quella constatazione attraversò come un lampo i nostri pensieri e ci accomunò nel dolore e nella fierezza. Sull’onda dell’emozione, i giornalisti di Milano assegnarono a L’Ora il celebre Premiolino. Partecipai alla premiazione al Bagutta insieme a Vincenzo Consolo. Il nostro piccolo giornale visse un attimo di gloria grazie a Giovanni Spampinato. Anche per questo lo ricordo sempre con gratitudine e gli rendo onore insieme alla sua famiglia e alla splendida sinistra di Ragusa, perché Giovanni era figlio dell’una e dell’altra.


Mario Genco, L’Ora 28 ottobre 1972

“Mettiamo anche lui, quest’altro morto nostro, sul conto della Sicilia dell’indifferenza, della collusione e dell’intrigo, dell’agguato e del ricatto: per la parte che in tutte queste cose le compete lo mettiamo sul conto di una parte di questa città, Ragusa, quella dei suoi galantuomini abituati al consenso, al silenzio. Giovanni Spampinato per tenace coscienza e serena tradizione di famiglia si era scelto l’altra parte: coraggio brava gente, adesso almeno lui non parlerà più.

Questo è un omicidio in nome collettivo, e si è andato compiendo per le strade e le piazze, tutte le strade e le piazze di questa città, nelle cancellerie di tribunale, negli uffici della gente che conta, nella città che conta, nei rapporti di polizia, nella trama dei silenzi e delle omissioni”.

Giorgio Frasca Polara

Era un cronista di impegno civile, proteso non tanto al “colpo” professionale che si esaurisce con la vampata di un titolo a nove colonne, quanto piuttosto il servizio che armonizza l’importanza della notizia con la necessità e la cura di una informazione complessiva che è attenta quindi, in primo luogo, alla prospettiva sociale e politica in cui il fatto si colloca.

Emanuele Macaluso

La storia di Giovanni Spampinato racconta una vicenda esemplare. Ci ricorda come funzionava il sistema di potere in Sicilia e nel Sud, nel 1972, quando fu ucciso a Ragusa questo giovane e coraggioso giornalista.
Molti magistrati nell’esercizio delle loro funzioni coprivano i “signori“ e i potenti della politica, che a loro volta coprivano quei magistrati. Erano anni torbidi, era in corso, dopo il ’68 e le grandi lotte sociali del ’69-’70, una controffensiva di destra, non solo sul piano politico, di governo, dato che riemergevano gruppi eversivi che seminavano stragi, uccidevano. Dalla sua provincia del profondo Sud, dove lo scontro sociale e politico era stato durissimo, Giovanni denunciò fatti di cronaca politica e di cronaca nera intrecciati e inquietanti. Seguì con scrupolo le pecche delle indagini sull’assassinio di un notabile e le attività più che sospette del figlio fascista di un magistrato.
Per quello scrupolo fu assassinato. Nonostante tutto quel che è emerso, i processi non gli hanno reso giustizia.

Vincenzo Consolo

In Sicilia l’impegno civile dei giornalisti è stato pagato con una strage di cronisti. Otto morti dal Dopoguerra. Dopo Cosimo Cristina e Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato fu il terzo cronista del giornale L’Ora ad essere eliminato. Scriveva, Spampinato, dei rapporti, nel Ragusano, tra i fascisti e la malavita organizzata. Gli assassinati de L’Ora, un giornale di frontiera che per primo, e da solo, si è occupato dei legami fra mafia e politica, subendo, nella sua sede palermitana, un attentato con bombe. Di mafia e potere politico si occupava L’Ora, ma anche di quel fascismo carsico che di tempo in tempo riemerge, come oggi in questa Italia governata da Berlusconi. Quell’“eterno fascismo italiano”, di cui ha scritto Carlo Levi, contro cui si scontrò Giovanni Spampinato nella sua ricerca di verità, pagando con la vita. La sua storia è simile a quella di tanti altri cronisti,
scrittori, magistrati, umili servitori dello Stato uccisi per il loro senso del dovere civile e della dignità umana.

Luca Telese

Non aveva scelto la vita comoda né la carriera, Giovanni. Era un cronista irregolare nel senso migliore del termine: ovvero non faceva sconti a nessuno. Non concepiva che si potesse essere corretti e garantisti solo con alcuni. E nemmeno sottomesso e accondiscendente con i piccoli-grandi potenti del suo mondo. Così il suo destino è stato segnato: ribelle al potere, corretto e garantista con tutti, perfino con il suo assassino.

Lirio Abbate

Raccontava la verità, Giovanni. Lo faceva senza diffamare nessuno, segnalando il puzzo di mafia che i siciliani imparano a distinguere fin da giovani. Spampinato lo riconosceva perché aveva nel Dna la cultura della responsabilità e perché lavorava “con quei matti” de L’Ora, che si divertivano a fare un giornale di denuncia duro come la roccia. Il libro racconta il coraggio di questo giovane assassinato nel ragusano,ma descrive anche il forte e profondo dolore dei familiari che subirono la violenza dell’omicida e il parossistico tentativo dei suoi influenti genitori di liquidare l’assassinio di un cronista di 25 anni come la morte di un cane rabbioso. Alberto Spampinato ci riporta alla mafia, a un miscuglio di insabbiamenti, depistaggi, contrabbando, traffici illeciti,
trame nere e a oscuri moventi e sentenze di favore per coprire l’omicidio di un bravo giornalista.

Il Foglio, 13 ottobre 2007

Studente e giovane giornalista dell’Ora di Palermo, fu assassinato perché aveva dato una notizia di troppo. Si oppose apertamente a una regola del quieto vivere, pacificamente accettata da molti suoi colleghi che lavorano nelle città di provincia: è meglio lasciare nel cassetto le notizie sgradite ai potenti del luogo.

Belgio. La storia di Giovanni fa il pieno in 5 università

“Avevo sottovalutato l’interesse dei miei connazionali per questa drammatica vicenda siciliana”, spiega Sarah Vantorre, la ricercatrice belga che ha promosso e seguito il tour dell’ ”inchiesta drammaturgia sul caso Spampinato”, rappresentata in forma di recital in cinque atenei del Belgio e all’Istituto di Ciltura di Bruxelles da Danilo Schininà e Giovanni Arezzo. Sarah riferisce le impressioni del pubblico e le confronta con le sue aspettative. (nella foto: Giovanni Arezzo e Danilo Schininà)

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Mio fratello denunciò il sistema tolemaico del giornalismo locale

L’intervento alla presentazione dell’inchiesta drammaturgica “Il caso Spampinato”. Chi te lo fa fare?”, gli dissero alcuni giornalisti di Ragusa. Gli consigliarono di lasciar perdere, di non rivolgere domande sgradite alle persone importanti. (…) Vigeva e vige ancora in molti giornali questa regola e la convinzione che le notizie siano una merce come un’altra, e perciò un giornale sceglie quelle da approfondire e pubblicare in base alla convenienza propria e dei propri amici e sostenitori. E’ un sistema di pensiero arcaico quanto il sistema tolemaico secondo cui tutti i corpi celesti girerebbero intorno alla Terra…. Mio fratello si scontrò con quel sistema…

astrocarta

di Alberto Spampinato – Bologna, 20 marzo 2012 Scorrere il rosario delle vittime dell’ingiustizia è sempre triste, doloroso, crea imbarazzo, fa nascere sensi di colpa, fa venire voglia di strappare dai libri le pagine più strazianti, fa nascere il desiderio di rimuovere i ricordi dolorosi, a cominciare da quelli che ci toccano da vicino. E invece bisogna ricordare e fare conoscere agli altri storie come questa di mio fratello Giovanni. Bisogna ricordare gli affetti che ci sono stati rubati, le persone che si sono giocate la vita per noi, lottando per un ideale, per affermare i principi a cui teniamo. E’ doveroso. E’ istruttivo. E’ utile. Non dobbiamo.cedere alla tentazione di rimuovere e dimenticare. Dobbiamo ricordare questi morti uno ad uno, fare sapere cosa hanno fatto.

Dobbiamo impegnarci a tenere viva la loro memoria. E dobbiamo farlo senza retorica, in modo oggettivo, con un rigoroso lavoro di documentazione. Dobbiamo farlo per noi stessi e per le generazioni che verranno. Le storie dei giornalisti uccisi in Italia mentre facevano con onestà e rigore professionale il loro lavoro fanno piangere il cuore, ma dobbiamo conoscerle, perché contengono profonde verità, insegnamenti per il presente e per il futuro. Sono storie, che hanno la stessa funzione educativa delle favole degli orchi e dei draghi che raccontiamo ai nostri bambini: mettono paura, ma aiutano a capire la vita e a crescere. Chiunque crede che l’informazione giornalistica sia una infrastruttura essenziale della democrazia deve conoscere queste storie e afferrare il senso di tragedia collettiva che esprimono.

Ficcanaso e provocatore

Giovanni Spampinato era un giovane giornalista della migliore scuola e mentre faceva il suo lavoro di cronista fu accusato di essere un ficcanaso e un provocatore. Faceva domande sacrosante che davano fastidio: non piacevano a gente potente abituata a stabilire d’imperio cosa i giornalisti possono scrivere e cosa invece, per loro convenienza, dovrebbero fingere di non sapere. Giovanni fu ucciso perché non accettò questa pretesa. Faceva domande sacrosante applicando i canoni del giornalismo che fanno prevalere sempre l’interesse generale, l’interesse dei cittadini a conoscere la verità.Giovanni aveva 25 anni.

Da tre anni scriveva per L’Ora. Alcune inchieste clamorose avevano rivelato il suo talento. Quando fu accusato di essere un ficcanaso non capì come altri giornalisti potessero permetterlo e, sfogandosi con me, disse: “Qui la stampa è un’associazione di omertà controllata”. Parlava di un malinteso senso del giornalismo che fa accettare le prepotenze. Parlava dell’autocensura, che è la negazione del giornalismo. All’accusa di essere un ficcanaso, obbiettava: come si fa a cercare informazioni senza fare le domande giuste alle persone giuste? Lui consultava le fonti, analizzava i fatti e per chiarire i punti poco chiari faceva domande, e le formulava pubblicamente. Non conosceva altro modo di fare la cronaca. Non concepiva la compiacenza e neppure la sottomissione del giornalista verso i potenti e i notabili. Pensava che un onesto giornalista, in quanto rappresentante collettivo della pubblica opinione, abbia l’investitura per trattare alla pari i potenti. Aveva una concezione sociale del giornalismo e faceva il suo lavoro con impegno ideale. Perciò continuò a comportarsi come riteneva fosse giusto: come gli avevano insegnato alla grande scuola del giornale L’Ora. Perciò, di fronte a un efferato omicidio non esitò a porre domande sul comportamento di notabili e potenti della sua città.

“Chi te lo fa fare?”

“Chi te lo fa fare?”, gli dissero alcuni giornalisti di Ragusa. Gli consigliarono di lasciar perdere, di non rivolgere domande sgradite alle persone importanti. Loro si regolavano così: censuravano le notizie sgradite a notabili, potenti e amici del loro giornale e non avevano mai problemi! Si vantavano di agire così. Per prudenza, per quieto vivere, per non avere grane e, allo stesso tempo, per compiacere i direttori dei loro giornali e le persone a cui facevano queste riverenze. In effetti agire così evitava fastidi e faceva guadagnare titoli di amicizia e benemerenza presso i redattori e i caporedattori dei loro giornali, che sceglievano le notizie da pubblicare con un criterio di prudenza e di convenienza. Il giornale L’Ora non si regolava così, ma questa era la prassi negli altri giornali siciliani, e tuttora in gran parte lo è. Vigeva e vige ancora in molti giornali questa regola e la convinzione che le notizie siano una merce come un’altra, e perciò un giornale sceglie quelle da approfondire e pubblicare in base alla convenienza propria e dei propri amici e sostenitori. E’ un sistema di pensiero arcaico quanto il sistema tolemaico secondo cui tutti I corpi celesti girerebbero intorno alla Terra.

L’eresia

Giovanni era uno dei contestatori di quel sistema tolemaico, del teorema secondo cui le notizie gravitano intorno agli interessi commerciali, politici e relazionali dell’editore. Giovanni pensava che le notizie devono gravitare intorno all’interesse dei cittadini. Insomma, Giovanni, in questo senso, era un copernicano quanto lo erano i suoi colleghi della redazione dell’Ora e i giornalisti più illuminati della sua epoca che facevano tesoro della dimostrazione della rotondità del globo fatta da Galileo Galilei con il suo cannocchiale. Ma a Ragusa, in quanto galileano Giovanni fu sospettato di eresia, come lo fu all’inizio del Seicento l’astronomo Giambattista Odierna che professava le idee di Galileo e si salvò dall’accusa di eresia lasciando Ragusa.Giovanni invece restò a Ragusa a combattere la sua impari battaglia. Non lasciò perdere. Continuò a fare domande e a scrivere articoli in cui elencava le domande più inquietanti riguardo a un misterioso omicidio. Perciò gli altri giornalisti lo trattarono come un eretico, e le persone infastidite dalle sue domande si sentirono autorizzate a trattarlo come un ficcanaso, e i più forti lo accusarono di essere un provocatore.

La sfida di Giovanni durò sei mesi. Si concluse il 27 ottobre 1972, quando il suo assassino lo attirò in un tranello e lo uccise a bruciapelo con due pistole che si era procurato appositamente. Poi si costituì dicendo: mi ha provocato, mi ha distrutto moralmente e io l’ho distrutto fisicamente. Al processo, la tesi della provocazione fu il cavallo di battaglia dei difensori dell’assassino, che non si fecero scrupolo di denigrare la vittima, di dire che non era un giornalista, ma un ficcanaso, uno che non si faceva i fatti suoi.La tesi era assurda, ma fu accettata, perché l’assassino era figlio di un giudice e a giudicarlo c’erano dei giudici che avevano dei figli e forse per questo furono molto comprensivi. Riservarono all’assassino un trattamento paterno e, alla fine, gli concessero tutte le attenuanti possibili e immaginabili, compresa quella della provocazione. E in cosa consisteva la provocazione?

Negli articoli di cronaca che Giovanni Spampinato aveva pubblicato, nelle sue documentate inchieste, nell’attività giornalistica che lo aveva portato a porre tante domande. Insomma, la provocazione consisteva nel suo mestiere di giornalista galileano.Anche fra i magistrati c’era qualcuno che non credeva all’assioma del Sole che gira intorno alla Terra. C’era, ad esempio, il procuratore generale di Catania, Tommaso Auletta, che al processo d’appello, pronunciando la requisitoria, chiese invano: “Se un giornalista non fa quel che ha fatto Giovanni Spampinato, ditemi, perché esistono i giornali?”. La domanda fu considerata una provocazione e non ottenne alcuna risposta. La giuria non ne tenne conto: la sentenza ridusse infatti la pena dell’assassino sentenziando che era stato provocato. Dunque per avere cercato la verità su un omicidio con le domande che in questi casi fanno i bravi giornalisti, Giovanni fu ucciso e per trent’anni è passata la tesi che non fosse stato un giornalista, ma un ficcanaso e un provocatore.

Trentacinque anni dopo

Poi, nel 2007, quando della vicenda di Ragusa si era perso quasi il ricordo, da uno dei più autorevoli fori del giornalismo italiano arrivò la risposta a quella provocatoria domanda del giudice Tommaso Auletta: nel 2007, alla memoria di Giovanni Spampinato fu assegnato il Premio Saint-Vincent di Giornalismo, il premio di giornalismo più prestigioso d’Italia. Dunque fu riconosciuto, e nel modo più solenne, che era un giornalista. Da quel momento ha avuto inizio una riabilitazione della sua memoria, almeno in alcune parti d’Italia e del mondo, mentre in altre parti del globo il Sole continua a girare intorno alla Terra, Giovanni resta un ficcanaso e in quei luoghi le autorità costituite non osano pronunciare in pubblico il nome di Giovanni Spampinato in quanto eretico e provocatore.

All’inizio non capivo perché la città natale di Giovanni non ha per lui la stessa considerazione che altre città natali riservano ai loro giornalisti uccisi a causa del loro lavoro, a giornalisti che si sono distinti per le stesse doti di coraggio e di imprudenza professionale. E’ vero, anche la memoria di altri giornalisti uccisi è oscurata e indegnamente dimenticata come quella di mio fratello, e non è giusto. Ma è anche vero che per tenere desta la memoria di numerosi altri giornalisti uccisi vengono promossi convegni e manifestazioni pubbliche alle quali intervengono gli amministratori ed i più alti funzionari pubblici. Perché alcune comunità che hanno subito così gravi ferite non sentono il dovere di ricordarle le loro vittime?

All’inizio pensavo che fosse solo una distrazione non ricordare pubblicamente Giovanni, ma adesso so che non é così. Adesso so che a Ragusa, dopo 40 anni, la morte di Giovanni è ancora una ferita aperta. Giovanni rimane un eretico, un personaggio da dimenticare. Le istituzioni pubbliche hanno fatto perfino dei passi indietro rispetto all’impegno di ricordarlo. E’ così. E’ triste. Ma io non dispero: il tempo farà giustizia.

Anche Galileo Galilei è stato a lungo bistrattato. Ma alla fine è stato riabilitato dalla stessa Chiesa che lo aveva condannato, anche se ci sono voluti 350 anni. Ho fiducia che anche il sistema tolemaico dell’informazione prima o poi sarà disconosciuto dappertutto: spero solo che non ci vogliano 350 anni!Nella valutazione di queste cose la magistratura ha fatto più passi avanti di certe amministrazioni cittadine. Credo che ai nostri giorni nessun Tribunale italiano oserebbe qualificare come atti provocatori gli articoli di cronaca di un giornalista. Quei tempi sembrano tramontati per sempre. Qualcosa di profondo è cambiato da allora, ma altre cose purtroppo stentano ancora a cambiare ed è necessario incoraggiare e sollecitare l’adeguamento agli standard più avanzati della nostra civiltà. Questi sono alcuni dei miei dubbi e delle mie speranze. Ne ho altri. Chi vuole conoscerli tutti può leggere il mio libro-confessione: C’erano bei cani ma molto seri- Storia di mio fratello Giovanni ucciso perché scriveva troppo, Ponte alle Grazie, 2009.

Alberto Spampinato