Luciano Mirone. Ottobre 2008

“Giovanni intuì il nesso fra stragi e destra eversiva, mi ricorda Pasolini”

Luciano Mirone  è un giornalista e uno scrittore siciliano. E’ autore del libro “Gli Insabbiati- Storie di giornalisti uccisi dalla mafia e sepolti dall’indifferenza”, Ed.Castelvecchi – Il libro contiene la storia di ciascuno degli otto giornalisti uccisi in Sicilia. Su Giovanni Spampinato offre la più accurate e approfondita ricostruzione della vicenda e dei processi sul suo assassinio. Questo articolo è stato scritto per un libro sulle inchieste di Giovanni Spampinato, in attesa di pubblicazione.

Giovanni Spampinato è stato uno dei primi giornalisti italiani ad intuire il rapporto fra i gruppi neofascisti capeggiati da Stefano Delle Chiaie e gli apparati deviati dello Stato. Fu uno dei primi giornalisti italiani a comprendere il nesso fra l’eversione di destra e le stragi che in quegli anni insanguinavano il nostro Paese. Fu uno dei primi giornalisti italiani a scrivere tutto ciò, e fu uno dei primi giornalisti italiani ad essere ucciso nell’adempimento del proprio dovere.

Quando fu assassinato a Ragusa il 27 ottobre 1972 dal figlio del presidente del Tribunale, certa magistratura, fece di tutto per far passare l’omicidio per un delitto “comune”. Invece fu un omicidio politico, maturato nel torbido contesto della destra eversiva legata a doppio filo con il traffico di droga e del commercio di materiale archeologico e di antiquariato.

La storia di Giovanni ricorda quella di Pier Paolo Pasolini, in quegli stessi anni impegnato in grandi battaglie civili. Solo che Spampinato operava in una terra complessa e difficile: la Sicilia delle esercitazioni paramilitari dei gruppi neofascisti, la Sicilia di Gladio, la Sicilia collegata alla Grecia dei colonnelli, la Sicilia dei legami fra neofascismo e mafia.

Per capire questa storia è necessario ritornare che quella sera d’autunno del ’72, quando questo giornalista-intellettuale di soli 25 anni, figlio di un ex partigiano, fu ucciso con cinque colpi di pistola dal rampollo di una delle più prestigiose famiglie dell’alta società ragusana. Il suo assassino si chiama Roberto Campria, ha 32 anni e vive da diversi anni a Ragusa, sonnacchiosa città di provincia non diversa da tante città siciliane, clericale e perbenista, bigotta e democristiana.

Giovanni Spampinato non è il classico cronista di provincia che accetta passivamente le verità ufficiali. E’ un intellettuale comunista che spesso prende posizioni scomode anche contro il suo stesso partito. Ama leggere di tutto – soprattutto i giornali di controinformazione e i saggi di politica, specie il libro “La strage di Stato” che pochi leggono, ma che in quegli anni rappresenta una delle poche letture illuminanti sulla strage di piazza Fontana – perché vuol capire la società in cui vive e approfondire i misteri che si nascondono nelle pieghe di essa.

Siamo nel periodo a cavallo fra gli anni Sessanta e gli anni Settanta. C’è il ’68, il terrorismo, le prime stragi, il tentato golpe Borghese, le trame fra settori deviati dello Stato e terroristi di estrema destra, la strategia della tensione. Nel ragusano e nel siracusano la situazione è molto calda per via dei tagli occupazionali decisi dalla Montedison. Non infrequenti sono gli attentati alle sedi locali della Cgil. Lui osserva, parla con fonti attendibili, scrive su L’opposizione di sinistra, un giornale fondato assieme al deputato comunista Giorgio Chessari, invia le sue corrispondenze all’Unità e soprattutto al quotidiano l’Ora di Palermo.

Sul golpe Borghese scrive: “Quello che è legittimo chiedersi è chi avrebbe eseguito in periferia il disegno eversivo, chi collaborava nell’elaborazione e nell’esecuzione dei piani, chi erano insomma i complici del principe nero”. E giù una sfilza di nomi dell’eversione nera del ragusano e del siracusano collegati con personaggi coinvolti nella strategia stragista.

Poi scopre che in quel tratto di costa sbarcano grosse quantità di droga e di armi, e c’è un florido commercio illegale di materiale di antiquariato gestito da alcuni esponenti siracusani di Ordine nuovo: gli ingenti guadagni, spiega Spampinato, “servono a finanziare l’eversione nera”.

Qualche settimana più tardi fa uno scoop clamoroso. Denuncia la presenza nel capoluogo ibleo di Stefano Delle Chiaie, in quel momento ricercato perché sospettato di essere uno degli autori della strage di piazza Fontana: “Sembra che si sia trattato di un ampio giro”, si legge, “che il latitante fascista ha potuto compiere indisturbato in diverse città del Mezzogiorno. E, a quanto pare, non è nemmeno ricorso a mascheramenti e stratagemmi di sorta per ritoccare la sua fisionomia: a quanto pare, non ha timore che possa essere incastrato dai tutori dell’ordine”. Ad accompagnare Delle Chiaie nella “tappa” ragusana ci sarebbe, fra gli altri, il neofascista Vittorio Quintavalle, ex Decima Mas, che, come vedremo, avrà un ruolo importante in questa vicenda.

Questo il contesto politico nel quale matura l’assassinio di Giovanni Spampinato. Ma secondo i magistrati (o meglio: certi magistrati), “contesto” ed “assassinio” non hanno alcun collegamento. Ma non tutti, come vedremo, sono d’accordo.

Per capire perché viene ucciso il giornalista dell’Ora, bisogna riportarsi ad un delitto avvenuto otto mesi prima della sua morte. Un delitto consumato nelle campagne di Ragusa.

26 febbraio 1972. L’ingegnere Angelo Tumino, commerciante di oggetti di antiquariato, da sempre fascista, nonché ex consigliere comunale del Movimento sociale italiano, viene trovato morto in contrada “Ciarberi”, a dodici chilometri dal capoluogo ibleo. Pochi giorni prima aveva concluso un affare di quattro milioni. Su Tumino i giudizi dell’opinione pubblica ragusana sono contrastanti: un brav’uomo che vive di espedienti secondo alcuni, un personaggio losco implicato in traffici di natura illecita secondo altri. Questo il profilo tracciato a chi scrive dal giornalista Franco Nicastro (amico di Spampinato ed attuale presidente dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia), che si è occupato approfonditamente del caso: “Giovanni sospettava che Tumino potesse essere direttamente coinvolto nelle trame dell’eversione nera di quegli anni: questo particolare me lo confidava spesso quando avevamo occasione di vederci”.

Spampinato si appassiona al caso Tumino, indaga e scopre che le indagini sono indirizzate verso il figlio del presidente del Tribunale di Ragusa, intimo amico di Tumino, che coltiva una passione paranoica: le armi. Nella casa dei genitori (dove risiede) detiene pistole e rivoltelle di ogni tipo, qualcuna anche con matricola abrasa, con l’assoluta tolleranza di papà e mamma.

L’unico giornale a dare la notizia del coinvolgimento di Roberto Campria nell’omicidio di contrada “Ciarberi” è L’Ora: “Il procuratore ed il sostituto procuratore”, scrive Spampinato, “hanno interrogato decine di persone fra cui il figlio di un magistrato”. Gli altri quotidiani dell’isola ignorano il particolare. “Su Roberto Campria”, prosegue Franco Nicastro, “rimase un alone negativo per la facilità con la quale intratteneva rapporti con ambienti poco raccomandabili sia della destra eversiva che dei trafficanti di opere d’arte”. Spampinato scopre che nelle ore che precedono il delitto, l’ingegnere Tumino è stato visto in quelle campagne almeno con una persona. Una persona le cui caratteristiche fisiche e somatiche corrispondono perfettamente a quelle di Roberto Campria. Il quale in un’intervista rilasciata al quotidiano La Sicilia pochi giorni dopo dice: “Sono disgustato dal pensiero che qualche mente malata possa aver fatto certe congetture, lesive per la mia dignità”. Querela Spampinato e L’Ora, ma non si presenta all’udienza, e la denuncia decade.

Intanto Giovanni continua ad indagare. A cinque settimane dal delitto percepisce di avere il telefono sotto controllo, di essere pedinato, e di essere oggetto di “non so quale provocazione, dato che negli ultimi tempi sono venuto a conoscenza di fatti gravi, e forse si sospetta che sappia molto di più di quanto non dica”. Una confidenza che lui stesso fa agli organi locali del Partito comunista con una lettera. Una confidenza che coinvolge la polizia, la magistratura, insomma interi apparati dello Stato.

Trascorrono altri giorni. Il giornalista scopre che il figlio del presidente del Tribunale, subito dopo il ritrovamento del cadavere di Tumino, era stranamente a casa dell’ucciso. “Pare per cercare delle carte”. E poi: “Perché Roberto Campria rovistava l’appartamento cercando qualcosa? Perché si muoveva come chi cerca un alibi, quando nessuno sospettava di lui?”. Tumino e Campria, aggiunge Spampinato, “erano molto amici, si frequentavano assiduamente, pare per rapporti di affari”. E poi: “In molti esprimono il dubbio che le indagini siano andate per le lunghe perché da qualche parte si cerca di coprire qualcuno in alto, che non deve essere colpito”.

Attraverso una serie di testimonianze, il cronista ricostruisce minuziosamente alcuni retroscena e si pone una domanda: “Angelo Tumino fu ucciso nella trazzera di contrada Ciarberi o vi fu portato già morto?”. Apprende che poche ore dopo il delitto una macchina, probabilmente la stessa Nsu Prinz di proprietà dell’ingegnere, percorre per ben due volte ad alta velocità e a fari spenti, a distanza di circa tre ore, la stradina nella quale è stato rinvenuto il corpo. “Il cadavere fu lasciato la prima o la seconda volta? Come mai il corpo appariva rivestito e sistemato con cura? Poteva un uomo solo spostare il cadavere dell’ingegnere che pesava più di cento chili?”. Secondo Spampinato, dunque, l’assassino non ha agito da solo. Ma insieme a chi?

Cinque mesi dopo il delitto, Roberto Campria convoca una conferenza stampa a casa sua. Invita i giornalisti ragusani, fra i quali Giovanni Spampinato. Smentisce le ipotesi diffuse sul suo conto e convince (ma solo apparentemente) lo stesso cronista dell’Ora. Il quale, nell’articolo successivo – l’ultimo che scrive sul delitto Tumino – ipotizza la “probabile estraneità” di Roberto in merito all’omicidio dell’ingegnere. Non solo: durante la conferenza stampa i toni fra Campria e Spampinato – che in precedenza si sono incontrati solo una volta, per iniziativa del primo – sono assolutamente distesi. A maggior ragione dovrebbero esserlo dopo la pubblicazione di quel resoconto. Invece accade esattamente il contrario. Perché? Dopo la conferenza stampa, Giovanni continua a svolgere indagini per proprio conto. Roberto lo intuisce e lo cerca continuamente, lo chiama al telefono, gli dà strani appuntamenti, gli fa domande per cercare di comprendere cosa ha scoperto.

Già, cosa ha scoperto Giovanni Spampinato dal 3 agosto (data dell’ultimo articolo) al 27 ottobre (data della sua morte)? Non lo sappiamo. Consultando certe carte processuali che molti si sono guardati dal tirare fuori, possiamo farci un’idea. Inquietanti i fatti che emergono.

1)    Un testimone, Gino Pollicita, dichiara ai magistrati di aver visto, la mattina del delitto Tumino, l’ingegnere a bordo di una macchina in compagnia del presidente del tribunale Saverio Campria e della moglie. Dunque a coltivare l’amicizia con Tumino non è soltanto Roberto, ma anche i suoi genitori. Questa notizia la Procura di Ragusa si guarda bene dall’approfondirla. Non sappiamo a che titolo i tre fossero insieme né per quale motivo. Quel che sappiamo è che – malgrado questo – l’indagine continua a svolgerla la Procura iblea, che non sente il dovere di ascoltare i coniugi Campria.

2)   2) La sera del delitto Tumino, due agenti della Guardia di finanza fermano una macchina che, secondo il verbale, sarebbe quella della vittima (stesso colore, stessa marca, stesso numero di targa). A bordo di essa c’è Vittorio Quintavalle, ex Decima Mas, amico di Stefano Delle Chiaie. Pochi giorni dopo, il giudice istruttore Angelo Ventura smentisce il verbale redatto dai finanzieri scrivendo che la vettura non è quella di Tumino e l’autista non è Quintavalle. Il quale, dopo una perquisizione effettuata dai carabinieri in casa sua, taglia la corda e fa perdere le tracce senza che nessuno lo cerchi.

3)   C’è un’altra persona coinvolta nel delitto Tumino: si chiama Giovanni Cutrone, un personaggio losco che commercia oggetti di antiquariato, è amico dell’ingegnere e gravita negli ambienti della destra più reazionaria. A Ragusa è stato il fondatore del movimento dell’Uomo qualunque. Secondo gli inquirenti, il pomeriggio del delitto Tumino, tre persone sono uscite dalla casa dell’ingegnere: lo stesso Tumino, Roberto Campria e Giovanni Cutrone. Gli ultimi due hanno sempre negato di conoscersi. Cutrone addirittura ha raccontato ai magistrati una serie di bugie e poi ha fatto perdere le sue tracce. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Cutrone è la sola persona che accompagna la futura vittima in campagna prima del delitto. Campria fornisce un alibi e viene creduto. Eppure i contadini hanno sempre indicato in modo univoco che l’individuo che accompagna Tumino il pomeriggio dell’omicidio somiglia perfettamente al figlio del magistrato.

4)   Alcuni mesi dopo, Roberto Campria affitta un vecchio magazzino. Vi trasferisce la sua residenza, vi porta una barca a motore, delle armi, degli appunti sul delitto Tumino, una strana lettera proveniente dalla Grecia della quale, negli atti processuali, non è mai stato specificato né il contenuto né il mittente.

5)   Pochi giorni prima di assassinare Spampinato, Roberto – benché sprovvisto di porto d’armi – compra la pistola e la rivoltella con le quali ucciderà il giornalista. Segnala l’acquisto alla questura, ma non succede nulla, malgrado il suo coinvolgimento nell’omicidio Tumino.

6)   Sei giorni prima di uccidere il cronista, Campria si reca da un magistrato, il sostituto procuratore Agostino Fera (attuale procuratore della Repubblica di Ragusa), per riferirgli “di essere stato avvicinato da persone sconosciute” che gli avrebbero chiesto di favorire un tentativo di corruzione presso alcuni agenti della Guardia di Finanza al fine di agevolare uno sbarco di sigarette di contrabbando.

7)   Tre giorni dopo si reca dal maggiore della Guardia di Finanza, Carlo Calvano, confidando di “essere stato avvicinato da persona insospettabile” (della quale non si è mai saputo il nome) per facilitare “lo sbarco di una nave proveniente dalla Jugoslavia che si sarebbe fermata fuori dalle acque territoriali, con un quantitativo di sigarette del valore di 200 milioni. Per lo sbarco sarebbero stati usati dei pescherecci e il Campria sarebbe stato ricompensato con la somma di 10 milioni, dalla quale avrebbe dovuto detrarre un milione per il finanziere”.

8)   Durante l’incontro Campria confida al maggiore Calvano che “gli era stato richiesto di trasportare una valigetta a Palermo dietro un compenso così forte da indurlo a sospettare che si trattasse di droga, ma che lui aveva rifiutato”.

9)   Lo stesso ufficiale delle Fiamme Gialle aggiunge: “A volte, secondo il Campria, il prezzo dei tabacchi di contrabbando veniva pagato mediante la consegna di oggetti d’arte”.

10) Dopo il delitto Spampinato, entra il scena il presidente del Tribunale, rimasto fino a quel momento nell’ombra. Il magistrato scrive una lettera alla Sicilia, il quotidiano di Catania che era ed è il giornale più letto a Ragusa: “Durante l’istruttoria sul delitto Tumino mio figlio si è fatto ricevere dal sostituto procuratore Fera, il quale ha detto che in un certo momento era stato disposto un provvedimento di fermo per lui e per altre quattro persone: provvedimento che era stato ritirato per riguardo a me”.

11) Dopo il processo di primo grado, Roberto Campria viene condannato a 21 anni di reclusione. In appello la pena viene ridotta a 14 anni, da scontare nel manicomio di Barcellona Pozzo di Gotto. Per lui vengono invocate due attenuanti: la seminfermità mentale per una dose di sedativo ingerita prima del delitto, e la “provocazione” da parte di Spampinato.

12) Nell’udienza di secondo grado il Pubblico ministero Tommaso Auletta dice: “Campria aveva paura non per quello che Spampinato aveva scritto, ma per quanto non aveva ancora scritto sulle trame dei fascisti e sui pericolosi traffici nei quali erano coinvolti sia Tumino che Campria. Il delitto è stato una prova di fedeltà a quel mondo”.

A questo punto vanno poste alcune domande: chi chiede a Campria di favorire il traffico di sigarette mediante la corruzione dei finanzieri? Chi chiede a Campria di trasportare una valigetta imbottita di droga? Quali rapporti pregressi esistono fra il figlio del magistrato e i trafficanti? Perché la Procura di Ragusa non ha approfondito questi aspetti? Perché il sostituto Fera informa i superiori delle confidenze di Campria solo dopo il delitto Spampinato? Perché malgrado queste omissioni, peraltro confermate dal presidente del Tribunale, Fera rimane a Ragusa dove tuttora occupa la carica di Procuratore della Repubblica? Perché non è stata riaperta l’indagine sulla misteriosa morte di Angelo Tumino, malgrado le richieste della famiglia Spampinato e dei compagni di Giovanni?

Luciano Mirone