Giovanni Spampinato L'opposizione di Sinistra, A.II, n. 12, 25-7-1970

Ancora sul movimento studentesco a Ragusa

Caro U.M.

Ho letto con attenzione ed interesse il tuo articolo sul Movimento Studentesco a Ragusa (Una grande paura ed un grande silenzio, su “L’opposizione di Sinistra” dell’11 luglio). Analisi serie su fenomeni del tipo di quello che si verificò a Ragusa nell’inverno ’68-’69 sono a mio parere altamente meritorie, perché permettono una verifica “storica”, concreta, della dinamica interna dei gruppi “di rottura” e delle interazioni fra essi e la massa giovanile, e fra essi e l’ambiente. A quanto mi risulta, niente del genere è stato più tentato negli ultimi anni nella città. Restano beninteso le cronache e i commenti di “Dialogo”, il cui limite maggiore sta appunto nel fatto che sono più “cronaca” che “storia”. E’ mancata quasi sempre, in quella sede, una analisi del fenomeno mediata attraverso le successive esperienze locali, o quelle precedenti e contemporanee (ben altrimenti importanti!) di altre città, come è mancata del tutto -deliberatamente o, più spesso, per quella paralizzante paura della “strumentalizzazione” che é il frutto più amaro dell’ignoranza e dell’impreparazione politica, ogni mediazione ideologica che andasse al di là di formule vaghe e anodine come quelle della “contestazione globale” o della non meglio definita “democrazia sostanziale”.

Gli angusti limiti di questo tipo di analisi risaltano con estrema chiarezza dall’articolo di “Dialogo” da te citato, in cui, ad un paio di mesi di distanza dalla scomparsa definitiva del Movimento Studentesco, si diceva ancora che “il movimento studentesco è in crisi o, per meglio dire, in stasi”.

Da una premessa metodologica a un’analisi critica più approfondita.

L’assoluta incapacità di tradurre in termini di analisi critica ed autocritica. L’esperienza negativa che si era fatta -esperienza in ogni modo utile, se si fosse riuscito a trarre degli avvenimenti il giusto insegnamento- é uno degli aspetti più deludenti dell’intera vicenda, perché un simile atteggiamento di rifiuto della sconfitta, e la conseguente mancata ricerca degli errori che ne erano causa, condannano il movimento, all’immobilismo, nella migliore delle ipotesi, lo fanno ripartire sempre dallo stesso punto.

Perché è inutile, addirittura, ricercare solo le cause esterne in sé non determinanti, del fallimento, come la faccenda dei liceali: è sempre buona norma ricercare le motivazioni interni degli avvenimenti, gli errori di quella che impropriamente viene definita élite.

Ma l’analisi delle vicende del Movimento Studentesco ragusano, fenomeno in sé molto meno esplosivo e rivoluzionario di quanto non appaia dal tono indebitamente epico del tuo racconto, proprio perché esse portarono all’esplosione situazioni ricorrenti, ad intervalli variabili, nel mondo giovanile ragusano, va approfondita, ed il discorso va sviluppato ed allargato, nel tentativo, come dicevo sopra, di iniziare una verifica delle componenti, attive o potenziali, del locale movimento “di rottura” giovanile, e delle sue prospettive, in senso lato, politiche.

La premessa metodologica è stata forse troppo lunga, ma mi sembrava necessaria per capire quale è l’importanza ed il significato he io do al Movimento Studentesco. Alle tue note desidero aggiungere un mio modesto contributo (spero che altri vorranno dare il loro), per integrare, e in parte rettificare, la tua analisi.

Il Movimento Studentesco non fu, a mio avviso una “grande occasione mancata”. Non esistevano, obiettivamente, le condizioni perché si avessero risultati più consistenti e duraturi di quelli che si ebbero. E questo principalmente per due ordini di fattori, fra loro in certa misura interdipendenti:

  1. Mancava, a livello di massa, una sia pur modesta partecipazione alla grande problematica delle lotte studentesche nazionali. Mancava una qualsiasi circolazione di idee e di materiali di dibattito ideologico e politico sull’argomento (documenti, riviste, libri, ecc.).

Un Marcuse di quarta o di quinta mano.

La grande ondata contestativa nazionale era arrivata smorzata, e si era infranta contro la diga foranea dello scetticismo e del qualunquismo provinciale. Era arrivato un Marcuse di quarta o di quinta mano, ridotto a dimensioni puramente consumistiche. Mancò del tutto, ed è indice di un certo clima, una analisi marxista delle contraddizioni della scuola e della società.

  1. A livello di élite, il discorso si fa più serio e doloroso. Anche in questo campo, allora (come oggi, d’altronde) eravamo all’anno zero, anzi alla preistoria. L’impreparazione ideologica e politica si intrecciava alla paura della “ideologizzazione” e della strumentalizzazione, formando un inestricabile nodo di contraddizioni e di equivoci.

Il gruppo spontaneo “Dialogo”, unico punto di incontro dei giovani iblei “impegnati”, che pure fu il principale promotore della iniziativa della costituzione del Movimento Studentesco, non riuscì allora (e neanche in seguito) a chiarire a se stesso il significato ideologico e politico di alcune alternative fondamentali, come quella fra classismo ed interclassismo, e, anche quando delle scelte programmatiche furono fatte, queste non si tradussero mai, sul piano operativo, in prese di posizione chiare e inequivoche. Per restare al problema della scelta di classe, “Dialogo” lo risolse affermando di essere con la classe lavoratrice, col movimento operaio. Ma, a parte il fatto che, concretamente, non riuscì mai a collegarsi col movimento operaio, nemmeno nei momenti di lotta, si trattava di una scelta di classe per modo di dire:

a) non si riusciva ad uscire da criteri di valutazione moralistici, piccolo-borghesi, ed in ultima analisi opportunistici; b) l’atteggiamento era sostanzialmente paternalistico, sufficiente, di chi ha la verità e deve andare a portarla agli altri: in breve, il discorso della sensibilizzazione”, del “fare prendere coscienza”; c) questa opera di “sensibilizzazione” avrebbe dovuto rivolgersi a tutti indiscriminatamente, in quanto tutti, proletari e borghesi, siamo egualmente sfruttati dal “sistema”, egualmente oppressi dalla società consumistica, e risolversi in una generale presa di coscienza dell’ingiustizia e della intollerabilità della condizione presente, e nel conseguente, immediato “salto di qualità”, rivoluzionario, in una società senza sfruttati ne sfruttatori, di cui si diceva solo che sarebbe stata gestita col metodo della “democrazia sostanziale, o diretta”.

Non voglio qui soffermarmi sugli aspetti utopistici e anarcheggianti di questa ideologia (che una ideologia era diventata); ciò che interessa, in questa sede, e quanto questi equivoci di fondo -e la confusione ideologica e l’impreparazione politica che stavano loro a monte- abbiano influito nel determinare il fallimento dell’esperimento del Movimento Studentesco.

Di fatto, i giovani di “Dialogo” costituiscono il nucleo più numeroso e compatto del “comitato promotore” del MS, comitato che, dopo una breve serie di riunioni, passò alla fase assembleare, senza aver risolto nessuno dei problemi strategici e tattici del movimento, nella fiducia che dalla massa sarebbero scaturite indicazioni di metodi ed obiettivi.

La mancanza di obiettivi chiari, precisi, come spesso accade in queste occasioni, determinò un iniziale spettacolare successo, tanto da far registrare un paio di scioperi quasi totali degli studenti medi. Ma i nodi delle contraddizioni, gli equivoci di fondo che avevano fatto sì che una massa fondamentalmente qualunquista seguisse una avanguardia almeno a parole rivoluzionaria, e comunque inequivocabilmente di sinistra, vennero presto al pettine, e non fu difficile, con la presentazione di un paio di mozioni preparate nella sede della Giovane Italia, mettere in minoranza il Comitato Promotore e liquidare praticamente il nascente Movimento.

Dunque, le cause del mancato decollo del MS ragusano possono brevemente riassumersi così:

a) mancanza di “quadri” preparati ideologicamente e politicamente, mancanza di una minoranza in grado di elaborare delle valide ipotesi di lavoro da cui partire;

b) nei promotori dell’iniziativa c’era una eccessiva fiducia nello spontaneismo; ciò spiega perché si evitò di approntare una qualsiasi forma di organizzazione che avesse una certa stabilità e che fosse in grado di garantire continuità ed efficienza al Movimento;

c) si arrivò al momento assembleare, al lancio di massa del Movimento senza una chiara coscienza dei propri limiti e di quelli della massa studentesca locale, cosicché i giovani neofascisti ebbero facile gioco nel far naufragare una iniziativa nata debole.

Questo è quanto avevo da dire. Mi accorgo solo ora che la mia analisi è stata lunga, forse troppo lunga.

Ci sono delle sproporzioni fra le varie parti, e non sarà difficile trovare degli errori più o meno marginali di valutazione; ciò che d’altronde era inevitabile. Spero solo che sull’argomento si apra un dibattito, che non mancherebbe di dare utili indicazioni metodologiche a compagni ed amici.

Cordialmente

Giovanni Spampinato; L’opposizione di Sinistra, A. II, n. 12, 25-7-1970

CAT