Giovanni Spampinato. L'Ora, 16 gennaio 1971

Ragusa: Oscure manovre all’ombra del tripartito

RAGUSA, 16 gen – La vita dell’amministrazione comunale di Ragusa è stata caratterizzata, fin dall’indomani delle elezioni del 7 giugno, da una lotta sotterranea senza esclusioni di colpi, che esplode di tanto in tanto con improvvisi colpi di scena. I risultati delle votazioni furono disastrosi per la DC, che passò da 20 a 15 consiglieri, mentre i partiti minori del centro-sinistra, grazie ad una oculata campagna di personalismi ed al sottogoverno, registrano tutti un raddoppio dei seggi (PRI e PSI da 1 a 2, PSU da 2 a 4).

Il cosiddetto “centro-sinistra organico” risultò subito impossibile, per la mancata accettazione del pesante ricatto posto dai socialdemocratici: il partito dei Lupis chiese addirittura il sindaco e un numero imprecisato di assessorati. Ne valse a risolvere la situazione il passaggio di un consigliere eletto in una lista locale al PRI.

Dopo lunghe e laboriose trattative, nel corso dell’estate si giunse all’elezione di una giunta a tre (DC, PSI e PRI), con i voti determinanti dei fascisti. La crisi che sembrò aprirsi per l’opposizione, rivelatasi presto blanda, dei basisti e del PSI, rientrò presto. La giunta si diede alla “normale amministrazione”, e il consiglio fu riconvocato solo a fine novembre, per la approvazione del bilancio entro i termini previsti dalla legge. Ci si accorse subito che la giunta poteva contare sempre solo su 20 voti su 40, e che qualunque discussione risultava impossibile, mancando le dichiarazioni programmatiche. Il sindaco Di Natale rivolse il solito appello alla buona volontà dei consiglieri, e quando, dopo molte ore di discussione, si giunse alla votazione, il bilancio passò coi voti dei liberali e dei missini. Il capogruppo socialista, Tumino, dichiarò però che a quelle condizioni non avrebbe votato, mentre l’altro consigliere socialista, Bocchieri, disse che, a titolo personale, avrebbe votato a favore. Al che Tumino si allontanò dall’aula, dichiarando che sarebbero state tratte tutte le conseguenze politiche dell’accaduto. La crisi praticamente era aperta, e presto si dimisero gli assessori Di Quattro (basista) e Bocchieri (socialista).

Ma intorno a questi fatti, che possono considerarsi anche se solo fino ad un certo punto, derivanti da considerazioni politiche, si è intrecciata una serie di episodi che con la politica hanno poco o niente a che fare. I socialdemocratici, come sempre, sono tra i principali ispiratori registi e potenziali beneficiari di tali operazioni, nell’intento di entrare, in posizioni di forza, nella maggioranza.

In apertura della seduta per l’approvazione del bilancio (tanto per citare solo qualche episodio), il comm. Giovanni Lupis, fratello del ministro, lesse una lettera inviatagli da Roma dal consigliere Arezzo, eletto in una lista di estrema destra di agrari: l’Arezzo dichiarava di ritirare le dimissioni da consigliere presentate pochi giorni prima. È facile immaginare i contatti e le pressioni ricevute dall’Arezzo nella capitale.

Recentissimo l’altro colpo di scena: il consigliere liberale dott. Ippolito é uscito dal suo gruppo, dichiarando di voler entrare “nell’area del centro-sinistra”. Il PLI ha subito chiesto ad Ippolito di dimettersi, ma questi ha risposto picche. In un loro manifesto i liberali parlano testualmente di “prostituzione politica”, di “interessi particolari” e di “preoccupazioni umane di carattere personale e familiare” che avrebbero determinato la sua defezione. Ippolito fa parte della commissione per il piano regolatore. Così, se l’aritmetica non è un‘opinione (la politica, ripetiamo, non c’entra), il tripartito diventerebbe automaticamente maggioranza, seppure risicatissima: 21 consiglieri su 40. Ai socialdemocratici rimarrebbe ancora un certo margine di manovra.

CAT