Dibattito con Daniela Marcone e Alberto Spampinato su legalità e informazione

Foggia. Il procuratore: Qui la mafia c’è ma non si vede
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Il giornalista Alberto Spampinato con Daniela Marcone di “Libera”, nell’incontro di mercoledì 17 alla libreria Ubik di Foggia

FOGGIA, 18 Feb 2010 – “Non abbiate paura di porvi dei dubbi, non abbiate vergogna delle vostre domande. Se vi dicono che nella vostra città non c’è la mafia, non credeteci. Perché forse c’è qualcuno che vuole che si dica così.” Tra legalità e informazione, mafia e libertà, s’inserisce la lezione del giornalista Alberto Spampinato, in un incontro con gli studenti dell’istituto tecnico B. Pascal di Foggia, avvenuta la mattina di giovedì 18 febbraio. Alla Conferenza sulla legalità, organizzata a moderata dal professor Raffaele Identi, ha preso parte oltre al dirigente della Polizia Antonio Caricato, anche il procuratore della Repubblica, Vincenzo Russo.

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Il manifesto della conferenza alla scuola B. Pascal

“In questa città il fenomeno mafioso ha ormai dimensioni preoccupanti ed è necessaria una presenza continua dei magistrati incaricati di seguire con specificità le indagini in questo settore”. Queste le sue parole, le quali motivano la richiesta di istituire a Foggia una Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) in aggiunta al pool di Bari che, a detta del procuratore Russo, “da solo non basta”. Così come non basterebbe un’attività unicamente repressiva in risposta alla proliferazione della presenza mafiosa nel territorio in quanto, specifica Russo, “servono altre cose, a cominciare da una risposta ai problemi sociali, come la disoccupazione giovanile, fino all’impegno dei cittadini e ad una maggiore attenzione da parte della stampa”. Qui si concentra il senso dell’intervento del procuratore il quale ha sottolineato l’importanza di avere una stampa più attenta, più critica sull’operato delle istituzioni, compresa la magistratura. “Un’informazione critica – ha concluso Russo – aiuta ad operare meglio, ne sono convinto”.

“Il procuratore ha ragione”, ha commentato Alberto Spampinato durante il suo intervento, “la stampa deve svolgere fino in fondo il proprio dovere di ‘cane da guardia’ del potere e delle istituzioni. I giornali non possono aspettare le sentenze per dire che la mafia ha messo piede da qualche parte. Non si devono lasciare soli i giornalisti che anche in Puglia, subiscono minacce e intimidazioni perché hanno il coraggio di parlare di queste cose”.

Le parole del quirinalista dell’Ansa e direttore dell’osservatorio Ossigeno per l’informazione sui cronisti minacciati, acquistano maggiore importanza soprattutto in relazione al suo libro, presentato il giorno prima nella sala eventi della libreria Ubik di Foggia. –segue – (segue) Cerano bei cani ma molto seri, edito da Ponte alle Grazie nel 2009, racconta la storia di Giovanni Spampinato, fratello del giornalista dell’Ansa, corrispondente da Ragusa per il quotidiano L’Ora di Palermo, ucciso nel 1972, all’età di venticinque anni. Unica colpa, quella di aver svelato gli intrecci tra mafia, neofascismo, magistratura e politica che, in quegli anni, covavano in una di quelle province che la criminalità organizzata aveva tutto l’interesse che fosse ritenuta “babba” (stupida), agli occhi della società civile. Ma che, come ha raccontato Giovanni Spampinato nelle sue cronache, “babba” non era affatto.  “Mio fratello è stato lasciato solo, dalla polizia, da una parte di magistratura che indagava e, soprattutto, dal resto della stampa”, ha raccontato Alberto Spampinato nell’incontro di mercoledì 17 in libreria, “nessuno degli altri corrispondenti l’ha seguito, nessuno ha accompagnato la sua inchiesta”. Il libro racconta proprio l’impari lotta ingaggiata dal fratello Giovanni contro quelle forze illegali che, sotto il tappeto omertoso che copriva il territorio compreso tra Siracusa e Ragusa, lavoravano a progetti ben più grandi della semplice criminalità di provincia. È la guerra di un Davide, come si sentiva Giovanni Spampinato nelle lettere che scriveva al fratello Alberto, contro un Golia che la gente, la polizia, la stessa stampa, non voleva ammettere come tale.

Nel libro, Alberto Spampinato racconta, analizza, ricorda, ristende l’intera vicenda, con passione narrativa e vigore giornalistico, lucidamente e con trasporto. In modo del tutto simile a suo fratello Giovanni durante gli anni “ruggenti” vissuti a L’Ora, tra il ’69 e il ’72, quando scriveva inchieste dalla propria città, da solo, con il “grassetto” del suo nome nudo e crudo in cima ad ogni articolo, vulnerabile e al contempo pericolosissimo. “Ho iniziato la mia carriera giornalistica un anno dopo la morte di mio fratello – ha raccontato Spampinato ai lettori della libreria Ubik – e l’ho fatto per capire quale fosse il mondo in cui operava Giovanni. Senza rendermene conto, durante questi trent’anni di attività giornalistica, ho condotto un’inchiesta personale su questa vicenda”. La svolta, dice l’autore, è arrivata intorno al 2005, quando si stava intitolando un premio giornalistico in memoria di Giovanni Spampinato. “Avevo paura che gli si dedicasse un premio – ha aggiunto Alberto Spampinato – senza che si conoscesse la sua vera storia”.

All’incontro di mercoledì 17 febbraio ha preso parte anche il referente provinciale dell’associazione Libera, Daniela Marcone, figlia di Francesco Marcone, funzionario assassinato a Foggia nel 1995 in circostanze mafiose. Le sue parole non sono state diverse da quelle del procuratore Vincenzo Russo, nell’incontro con gli studenti del Pascal: “questa città è molto cambiata da allora – ha detto la Marcone, riferendosi al periodo dell’omicidio di suo padre – c’è più informazione, maggiore controllo e anche il fatto che siamo qui a parlare di queste cose lo testimonia. Mi chiedo sempre come sarebbe andata se mio padre fosse stato ucciso oggi, in questo momento storico. Questo paese è cambiato da allora – ha concluso – ma non bisogna mai abbassare la guardia, perché la mafia c’era in quegli anni e continua ad esserci oggi”.

Alessandro Galano